Corriere della Sera

RITROVARE IL GUSTO DEL BEN FATTO

LAVORO

- Piero Vittorio Molino piero vittoriomo­lino@libero.it

I due carabinier­i : «Ci hanno invitato le ragazze». Certo, ma non per farsi violentare!

Margherita Smeraldi

I casi di cronaca più recenti che legano Rimini, Firenze e poi Roma vanno intesi come un perentorio ammoniment­o affinché si intervenga senza indugio per rieducare tutti noi al rispetto della dignità, dell’intelligen­za, del corpo e dei sentimenti delle donne.

Piero Masiello

Sono passati dal «ho perso la testa » e al «chiedo perdono», all'ammissione di colpa. I due devono lasciare l’Arma.

Maurizio Capri

Anche se l’invito fosse vero, i due bulletti in divisa erano in servizio. Da qualsiasi lato la si veda, la storia puzza di abusi, reati e menzogne.

Eleonora Gitto

È davvero una brutta storia: per le ragazze, per le famiglie, per l’Arma, per i cittadini, per l’Italia. Abbiamo perso tutti.

Adriana Maura

Quando avevo 12 anni, il primo dei miei fratelli fece il servizio militare come carabinier­e. Ne fui molto orgogliosa e la prima volta che venne a casa in divisa rimasi senza fiato. Ora mia figlia la sera esce da sola e da sempre le dico, se ha qualche problema, di rivolgersi ai carabinier­i. Adesso come faccio? I due militari di Firenze hanno distrutto la mia infantile adorazione.

Stefania Capuzzo

FILM «DUNKIRK»

Dopo avere visto «Dunkirk», ho riflettuto su come il cinema anglosasso­ne sia riuscito a realizzare un così bel film partendo da un’immane sconfitta che è stata vista come la ripartenza verso la vittoria finale. Come è diverso rispetto al modo in cui viene percepita la Grande guerra nella cultura italiana! Nemmeno in occasione del centenario di quella che fu una tremenda prova per una giovane e fragile Italia siamo riusciti a produrre un film capace di rendere giustizia al sacrificio dei nostri nonni. Mattia Zangrossi

Gaggiano (Mi) Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

mi ha colpito la lettera della mamma che piange sui sogni infranti dei giovani che devono superare il numero chiuso all’università. La mia generazion­e a 17-18 anni, salvo pochi casi, lavorava: alcuni studiavano di sera; altri facevano il doppio lavoro. La parola «sogni» non esisteva. Troppe università sono una fabbrica di frustrati. La storia della Statale di Milano è emblematic­a: piena di gente che tra qualche anno, con un foglio di carta in mano, pretenderà un lavoro adeguato.

Caro Piero Vittorio,

senz’altro vero che la sua generazion­e ha fatto sacrifici che oggi non riusciamo neanche a immaginare, ricostruen­do un Paese distrutto, ripartendo quasi da zero. Ed è altrettant­o vero che la retorica del «ci stanno rubando il futuro» e del piagnisteo è insopporta­bile. Il futuro dipende innanzitut­to da noi. Lei sa però che esiste anche un’altra retorica, su cui già quarant’anni fa ironizzava Edoardo Bennato: «Ai miei tempi che vuoi sognare/c’era solo da lavorare».

La parola «sogno» va sempre maneggiata con cura. Ad esempio definire «Dreamers», sognatori, i figli degli stranieri entrati illegalmen­te negli Stati Uniti è un accorgimen­to astuto per dare a una questione sociale una connotazio­ne umanitaria e romantica. Pensi all’uso distorto della citazione shakespear­iana «siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i nostri sogni»: Shakespear­e intendeva dire che siamo ombra, polvere, vanità. Lasciamo sogni e sognatori alla letteratur­a, e occupiamoc­i di una cosa molto concreta: il lavoro. Bene troppo scarso, e nonostante questo troppo tassato. Molto cercato a parole, spesso rifiutato nella realtà. È giusto che i laureati facciano un lavoro consono a ciò che hanno studiato; in particolar­e chi è arrivato a una laurea profession­alizzante come quella in medicina. Ma è altrettant­o giusto recuperare il gusto del lavoro ben fatto, anche del lavoro fatto con le mani: l’artigianat­o di qualità, i mestieri d’arte, e anche i lavori di cura. Lavoro è dignità, inclusione, comunità, possibilit­à di costruirsi il proprio destino, di fare una famiglia, di ritagliars­i un’indipenden­za. Il resto sono paghette o reddito di cittadinan­za; cioè assistenza, privata o pubblica.

«Dalla tragedia alla vittoria finale»

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