Installazioni e sculture Ma qui il pezzo forte si chiama disimpegno
Il curatore: «Vogliamo che i visitatori tocchino e mettano in moto gli oggetti»
«Provocare, divertire e giocare. Vogliamo quasi costringere i visitatori a entrare nelle opere, devono toccarle, metterle in moto o andarci dentro. L’arte sta nell’esperienza o, come dicevano i romantici, passa attraverso l’incanto»: così Danilo Eccher, il curatore, presenta la sua mostra, Enjoy. Che dal 23 settembre metterà le sale rinascimentali del Chiostro del Bramante «in dialogo con l’arte contemporanea, in un viavai continuo di rimandi, o distanze, che fanno parte del gioco».
L’interattività è infatti tema centrale di tutto l’allestimento. Come per Love — la mostra sull’amore che portò lo scorso anno 150 mila visitatori al Chiostro — la visita a Enjoy sarà una vera e propria esperienza multisensoriale. «Questo museo non è un museo, avrebbe detto Magritte. Noi cerchiamo di togliere i confini tra le opere e liberare gli spettatori che possono gioiosamente costruire il loro percorso e prendere parte alle creazioni degli artisti» spiega ancora Eccher.
Gioco e divertimento sono due parole chiave dell’arte contemporanea. Dalle avanguardie del Novecento a oggi, l’aspetto ludico dell’opera è sempre più centrale. «Ma al contempo, il tema del piacere ha un coefficiente di difficoltà altissimo — argomenta Ec- cher —. Critici ed esperti preferiscono starne alla larga perché si rischia di cadere nel kitsch o nella banalità. Noi abbiamo accettato la sfida con opere, alcune site specific, che declinano il piacere in forme impreviste e multiple. Il visitatore lo vogliamo spiazzare, provocare riflessioni e portare altrove, che poi è il significato etimologico della parola divertimento». La collettiva raccoglie in tutto una trentina di opere, tra cui macchinari di Jean Tinguely provenienti dal museo di Basilea, i celebri mobiles di Alexander Calder e amache giganti e coloratissime di Ernesto Neto. Di sala in sala, lo spettatore può perdersi nel labirinto di specchi di Leandro Erlich, che ha costruito una sorta di paese delle meraviglie, o essere inseguito dagli occhi indiscreti e inquietanti di Tony Oursler.
Può entrare e uscire dalle installazioni ludico-concettuali di Martin Creed o cercare il contatto con i corpi deformati di Erwin Wurm. Il corteggiamento è invece alla base della grande macchina di Mat Collishaw tutta circuiti elettronici e led, mentre l’installazione sonora di Gino De Dominicis — con Tinguely e Calder uno dei maestri storicizzati tra quelli presenti in mostra — è una grande risata che contagia tutti. «Esposti ci sono anche nomi poco conosciuti, a cominciare da Piero Fogliati con il suo Prisma meccanico del 1967, con cui ha realizzato il sogno degli impressionisti di creare ombre colorate — spiega Eccher —. È un grande gioco che si basa su arte e principi fisici». Mai esposte in Italia le installazioni del collettivo giapponese TeamLab: «Raccoglie oltre 400 artisti, ingegneri, animatori e web designer che operano nel digitale e creano mondi virtuali di luci colorate che circondano lo spettatore, lo avvolgono e si muovono con lui».
Ma l’opera che il curatore ha voluto di più è stata quella di Michael Lin, tra i massimi artisti taiwanesi: «Un grande giardino di fiori orientali che accoglie i visitatori all’ingresso del Chiostro. Un’opera che coinvolge tutti: l’autore che l’ha pensata, i visitatori che possono percorrerla, gli studenti d’arte che l’hanno realizzata. Questa sì che è partecipazione».