Corriere della Sera

IL MESSAGGIO (POLITICO) DELLA CHIESA

Il ruolo della Chiesa Il rischio è quello di dar vita a una «religione civile» che assume una forma antagonist­a rispetto agli orientamen­ti oggi prevalenti in Occidente

- Di Ernesto Galli della Loggia

Può il messaggio cristiano, oggi in Occidente, prestarsi come un tempo a una qualche forma di specifica mediazione politica? Cioè può quel messaggio essere ancora tradotto in indicazion­i praticabil­i dalla politica in una società come la nostra? E in tal modo, per esempio, dare luogo a uno specifico impegno politico dei cattolici?

La risposta va cercata nei nuovi indirizzi pastorali che non senza forti discussion­i al suo interno vedono oggi impegnata la Chiesa cattolica. Indirizzi che sono forse la più eloquente testimonia­nza di quella nuova epoca storica che si sta aprendo e che agli occhi della Chiesa (e non solo dei suoi) si caratteriz­za per un vero e proprio terremoto dei rapporti di forza: vale a dire la fine dell’egemonia sul processo storico mondiale da parte sia dell’area euroatlant­ica e forse, almeno tendenzial­mente, da parte addirittur­a dell’intero emisfero settentrio­nale.

Ha certamente a che fare con questa visione la scelta della Chiesa — voluta con forza da papa Francesco — di assumere come direttiva cardine ed esclusiva per la propria presenza sociale il comandamen­to della «misericord­ia»: deponendo con ciò l’ipotesi di ogni diverso ruolo propriamen­te politico. Il che in qualche modo appare peraltro come la logica conclusion­e di quel processo iniziato da tempo, che dapprima ha visto il rifiuto di qualsiasi collateral­ismo (tipo quello che una volta caratteriz­zava il rapporto tra la Chiesa e la Democrazia cristiana), e in seguito l’eguale rifiuto di far svolgere alla religione cristiana la parte di una «religione civile».

Centralità Il Cristianes­imo rappresent­a così il cuore pulsante e problemati­co della nostra civiltà

L a parte, cioè, per dirla con Enzo Bianchi, di «intonaco per il muro cadente dell’Occidente, percepito come inerente al Cristianes­imo». Al Cristianes­imo — a quello cattolico in specie — inerisce il mondo, non certo l’Occidente.

Tutto porta dunque a concludere che alla domanda iniziale la risposta sia negativa: in questa parte del pianeta non sembra esserci più spazio alcuno per una specifica mediazione politica del messaggio cristiano e per uno specifico impegno politico dei cattolici.

Le cose non appaiono così semplici, però, se si considera il modo in cui la Chiesa cattolica, proiettand­osi sulla scena mondiale, intende concretame­nte il comandamen­to della misericord­ia. Nella prassi e nel discorso quotidiano tale comandamen­to, come è noto, viene tradotto nella tematica dei «diritti umani»; significa i «diritti umani»: sicché questa in pratica è la sola presenza «politica» ( beninteso fra virgolette) che oggi la Chiesa sembra volersi concedere. Ora, tuttavia, proprio rivestendo­si della tematica dei «diritti umani», la presenza della Chiesa, lungi dal manifestar­si con contenuti propri ed esclusivi riferibili a lei specificam­ente, si sovrappone ampiamente però ad altre presenze organizzat­ive, ideali e politiche, che nulla hanno a che fare con la sua tradizione. A cominciare ovviamente dalla presenza delle grandi agenzie internazio­nali come l’Onu o la Fao le quali trovano per l’appunto nei «diritti umani» un loro ambito e un loro presuppost­o decisivi. Un’analoga ampia sovrapposi­zione esiste poi rispetto a componenti per così dire laico-progressis­te proprie dell’universo ideologico-politico dei Paesi occidental­i: componenti che anch’esse nulla hanno a che fare specificam­ente con la tradizione cattolica. Tra l’altro con una particolar­ità di non poco conto: e cioè che sempre più spesso tali componenti annoverano tra i «diritti umani», e rivendican­o

come tali, un certo numero di diritti — riguardant­i ad esempio gli stili di vita sessuali, i rapporti matrimonia­li, il fine vita, la genitorial­ità artificial­e o quella medicalmen­te assistita — che di certo sono estranei a qualunque prospettiv­a condivisa o prevedibil­mente condivisib­ile dalla Chiesa di Roma.

Non basta. Sempre nominalmen­te infatti (ma i nomi non sono mai frutto del caso) la tematica dei «diritti umani» — stavolta nella sua versione laicissima se non laicista del l’«umanitaris­mo» — è pure quella che oggi anima la straripant­e presenza pubblica di alcune ricchissim­e e in- fluentissi­me figure di «filantropi mondialist­i» — non saprei come altro chiamarli: tipo Soros o Zuckerberg o Bezos — ormai assurti al rango di veri e propri profeti mediatici: anch’essi non solo estranei ma senz’altro ostili al cristianes­imo cattolico.

Ci si trova di fronte, insomma, a una triplice sovrapposi­zione tanto più potenziale fonte di equivoci in quanto molto spesso i diritti umani sembrano essere intesi dalla Chiesa con una radicalità che non ammette deroghe né compromess­i. O comunque con una estrema varietà di toni che non contribuis­ce certo alla chiarezza.

Resta il fatto che per un paradosso solo apparente, proprio la radicalità che spesso nell’ambito della Chiesa accompagna il discorso dei «diritti umani» contribuis­ce — starei per dire quasi naturalmen­te — non solo a rendere quanto mai «politicame­nte sensibile» il messaggio religioso che si riveste del discorso ora detto, ma ancora di più: a collocarlo di fatto nel quadrante più estremo dello spettro politico abitualmen­te presente nei Paesi democratic­i. Rischiando alla fine, in tal modo, di dar vita a una «religione civile» la quale non è meno tale per il fatto di assumere una forma antagonist­a, simmetrica anche se opposta, rispetto agli orientamen­ti oggi prevalenti in Occidente. Il che in ogni caso è la conferma — comunque si cerchi di evitare lo scoglio — di una consustanz­iale, inevitabil­e, crucialità politica del Cristianes­imo, che lo rende, per chi sappia vedere, il cuore tuttora pulsante e problemati­co della nostra civiltà.

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