Ius soli, nuovo duello. Renzi: divisi perdiamo
La lite nel Pd dopo le parole di Delrio. Orfini: chi chiede di accelerare risolva i problemi della fiducia Il segretario: ogni giorno almeno tre dirigenti si smarcano. Gentiloni prova a mediare: è una legge da fare
Nel Pd non fanno che azzuffarsi e Matteo Renzi, preoccupato per le ripercussioni sulla tenuta elettorale, a dispetto della fase «zen» richiama tutti all’ordine dal palco della Festa dell’Unità di Roma: «Noi siamo primi nei sondaggi nonostante ogni giorno ci siano almeno tre dirigenti che tentano di differenziarsi dalla linea della segreteria». E ancora: «Se non mettete da parte l’esigenza di differenziarvi su tutto, sappiamo chi vince...».
Per cancellare l’immagine dell’uomo solo al comando Renzi da giorni insiste sulla squadra, assicura che «Minniti e Delrio la pensano allo stesso modo» e in ogni piazza chiama l’applauso per Paolo Gentiloni: «Ha il nostro pieno e totale sostegno». Eppure basta un post su Facebook di Matteo Orfini a rivelare il clima: «Noi continueremo cocciutamente a lavorare per portare a casa il risultato. Suggerisco a tutti di dare una mano, evitando polemiche inutili. Almeno su questo».
Graziano Delrio aveva definito il dietrofront sullo ius soli «un atto di paura grave» e le parole del ministro avevano allarmato Palazzo Chigi. Finché ieri il presidente pd si è prodotto in un durissimo attacco a Delrio: «Cerchiamo di evitare almeno noi di strumentalizzare la vicenda dello ius soli». L’unico modo per approvarlo è mettere la fiducia, insiste Orfini sul punto dolente, visto che Alfano ha «cambiato opinione» e i numeri al Senato non ci sono. E qui l’affondo si fa più severo: «Ai ministri che chiedono lodevolmente di accelerare suggerisco di lavorare per sciogliere il nodo fiducia, perché è proprio a loro che compete questa decisione».
La sferzata ha stupito più d’uno al Nazareno, dove però sono convinti che Orfini abbia interpretato il disagio di Gentiloni per lo sfogo di Delrio. Era stato il premier a luglio a imporre una pausa allo ius soli e da allora il quadro non è cambiato. Forza Italia, M5S, Lega e alfaniani sono contrari e Maurizio Lupi avverte che «i ministri di Ap non daranno mai l’assenso alla fiducia».
Gentiloni non vuole mostrarsi rassegnato e da Corfù conferma l’impegno per l’autunno: «È un lavoro da fare». I ministri sono tutti d’accordo, a parole. Per Minniti «è un pilastro», per De Vincenti «una legge di civiltà», Martina promette che i dem andranno «fino in fondo». Ma Lotti frena: «La fiducia? Vediamo. Dobbiamo capire come possiamo portare a casa questo importante risultato». L’essenziale, sospira Pietro Grasso dalla Summer School di Enrico Letta a Cesenatico, è che «si arrivi alla meta». Si litiga anche sulla legge elettorale. Andrea Orlando, su La Stampa, sospetta che «in una parte del gruppo dirigente del Pd ci sia la tentazione di metterla su un binario morto» e propone di andare avanti «senza M5S». La commissione Affari costituzionali della Camera ha rinviato a martedì la decisione sull’esame dalla legge. Si aspetta il responso della presidente Boldrini sui collegi del Trentino Alto Adige, ma dietro le quinte si cerca un’intesa. Il Pd medita di riproporre il Rosatellum. E intanto a Messina è stato presentato un nuovo ricorso per rinviare gli atti alla Consulta.
Lo stop dei centristi Lupi: «Voto di fiducia sulla cittadinanza? I ministri di Ap non daranno mai l’ok»