UNA CAMPAGNA INQUINATA DAI VELENI GIUDIZIARI
Iveleni giudiziari che stanno affiorando inseriscono una variabile nella campagna elettorale, che aleggiava da tempo. E regalano i primi scampoli di una polemica a dir poco ruvida, che non promette di alzare il livello della discussione. Per la prima volta un partito, la Lega, si vede bloccati dalla magistratura i conti correnti in alcune regioni. Si tratta di un provvedimento radicale, legato non alla gestione dell’attuale segretario, Matteo Salvini, ma a quella del precedente, Umberto Bossi.
La decisione, tuttavia, induce Salvini a puntare il dito contro «una scheggia della magistratura» che a suo avviso vorrebbe «mettere il bavaglio» al Carroccio. Ma in parallelo, apre uno scontro virulento col Pd di Matteo Renzi, che ieri ha additato Salvini come capo di un partito che «deve restituire 48 milioni di euro»; e che «fa la morale a Roma ladrona ma ha rubato i soldi dei contribuenti». L’attacco è arrivato durante una manifestazione nella Capitale dove lo stesso Renzi si è sentito dire che le «cooperative del Pd e cattoliche lucrano» sui migranti; e ha reagito minacciando il contestatore di portarlo in tribunale.
Nella stessa giornata, il Movimento 5 stelle ha evocato le pensioni dei parlamentari, che scattano da oggi, per colpire la maggioranza. Beppe Grillo ha bollato i partiti come «dinosauri» che saranno uccisi dall’«asteroide» del M5S. L’esigenza di accentuare tutti gli spunti della propaganda grillina contro il sistema dovrebbe far brillare il Movimento e allontanare le ombre giudiziarie che pure lo sovrastano, a partire dalla Sicilia. Sono esercizi di delegittimazione destinati a proiettarsi sui prossimi mesi.
E riflettono un malessere diffuso che ognuno tende a interpretare a suo modo: anche se alla fine minaccia di scaricarsi in modo trasversale su tutte le forze politiche, perché implica un giudizio sommario negativo che non risparmia quasi nessuno. C’è da domandarsi quanto gli stessi partiti si rendano conto di alimentare una tensione che può ritorcersi contro di loro. E soprattutto, non è facile capire chi sarà il beneficiario di questo gioco al massacro reciproco. Di certo, non il sistema nel suo complesso, che finisce per trasmettere un’immagine di confusione e di tossicità.
Verrebbe da dire che la rissa avvantaggia le opposizioni radicali. E danneggia un Pd bifronte, che offre da una parte il volto rassicurante del premier, Paolo Gentiloni; dall’altra un partito con un leader che ama la polemica forte. Si tratta di un Pd in preda a forti contrasti interni, che Renzi fatica a comprimere nonostante una leadership consacrata dal congresso. Eppure, anche il manicheismo del M5S comincia a mostrare la corda. Appare un po’ logoro. E comunque non riesce più a velare le sue contraddizioni.
Il gioco al massacro Il blocco dei conti della Lega fa esplodere lo scontro con il Pd Un gioco al massacro che delegittima il sistema