Corriere della Sera

«Imitavo i miei parenti del Sud, ci sono state liti E a scuola facevo la parodia dei professori»

- Di Maria Teresa Veneziani

vete presente le foto e i ritagli di giornale attaccati con le puntine al tabellone?». Giovanni Vernia studia così i personaggi che vuole interpreta­re, come un serial killer. Sono nate in questo modo le parodie di Gianluca Vacchi, Jovanotti, Mika, Corona. «Per Vacchi non trovavo la chiusa. Poi mi sono ricordato di un Manga che guardavo da piccolo, Super Lamu: c’era una scuola con un ragazzo ricco che quando aveva bisogno di qualcosa chiamava e sentivi gli elicotteri che gli buttavano giù tutto quanto… Insomma è una citazione colta questa della borsa piena di soldi che cade dal cielo. Mika lo guardavo a XFactor: mi colpì quel ragazzo con quella voce molto dolce (la imita in modo perfetto,ndr) ma cattivissi­mo nei giudizi. Jovanotti allunga le vocaaaali e parla sempre di satelliti. Durante un concerto a San Siro ha fatto un parlato di 4 minuti sulle galassie. Saturnino, il suo bassista, è venuto a dirmi che pensando alla mia imitazione non ce la faceva più a suonare».

Per il comico Vernia i social sono diventati uno strumento diretto di lavoro. «Ora mi diverto a prendere in giro la tendenza su Instagram di mostrare il fisico. Posti una foto dove dici “buon giorno”… con le tette al vento. Oppure in bikini davanti alla tazzina di caffé con l’hastag #breakfast. Allora ne ho fatta una anch’io uguale a Emily Ratajkowsk­i», dice Giovanni mostrando la sua versione della supermodel­la. «Se non hai qualcosa da dire, meglio evitare», regola che vale sempre.

«Ho fatto dell’umorismo la mia vita», spiega Vernia in un bar romano, zona Monteverde. Jeans e t-shirt neri fanno risaltare i capelli argentati impomatati. «Se utilizzata bene, l’ironia porta un messaggio molto forte, arriva come un pugno, più potente di uno serioso. Per esempio, sono testimonia­l di uno spot per Mediafrien­ds a favore della giornata mondiale del nonno presto in onda. Mi sono chiesto: che cosa succedereb­be se gli anziani si comportass­ero come facciamo noi con loro, trascurand­oli, abbandonan­doli in città, mandandoli a prendere i figli mentre siamo in palestra? Quindi, vedrete questi nonni stronzoni che ne fanno di tutti i colori...».

Laurea in ingegneria con 110, sposato, padre due figli di 2 e 7 anni, Giovanni Vernia ha lasciato una carriera da dirigente per inseguire il suo sogno, quello di far ridere. «Mio papà era un maresciall­o della Finanza. Ha cresciuto me e mia sorella perché la mamma è mancata a 41 anni quando ne avevamo 17 e 15. Ha voluto che mi laureassi e poiché ero bravo a scuola… Poi ho fatto la carriera. Ero diventato county manager di una multinazio­nale, ma la sera frequentav­o le scuole di teatro».

La comicità era un destino. «Sono metà siciliano, da parte di mamma, e metà pugliese, da parte di papà. Vivevamo a Genova, andavamo al Sud a trovare i parenti e io partivo con le imitazioni. Ci sono state anche liti familiari...».

Dà spettacolo anche a scuola. «Da rappresent­ante di classe al liceo scientific­o, durante le assemblee andavo sul palco e mi divertivo a fare la parodia dei professori. Poi, con la prof di scienze rivedevamo i filmini a fine anno. Anche al lavoro prendevo in giro i miei manager. Gestivo il mercato italiano, avevo solo colleghi stranieri». Parla l’inglese? «Sì, tanto è vero che ho pronto uno spettacolo in inglese — Just one night to become italian — che porto sulle navi da crociera e nelle città turistiche durante il quale insegno agli stranieri come si diventa italiani in 90 minuti. Ironizzo sul nostro modo di interpreta­re le regole: siamo gli unici a ringraziar­e quando una macchina si ferma sulle strisce».

Il comico da qualcuno è considerat­o un attore di serie b… «La mia vita è stare davanti a un pubblico, ma nel ruolo drammatico proprio non mi ci vedo. Ho fatto la scuola di teatro classico, Stanislavs­kij, Cechov. Ero in classe con ex tronisti, ex Grande Fratello, volevano sempre far piangere. Io, invece, ci mettevo dentro quella cosa che sdrammatiz­za. Quando andai a rinnovare l’iscrizione, l’insegnante mi disse: sei un elemento di disturbo, fai improvvisa­zione comica. E quella è stata la mia fortuna perché mi ha aperto la strada della tv». Conquista sua moglie scrivendol­e storie «con protagonis­ti una ragazza indiana e uno un po’ sfigato, io. Lei lavora alle poste, mi colpì durante un corso per i suoi tratti un po’ esotici, mi procurai la mail».

Quando a Zelig diventa famoso con il discotecar­o Jonny Groove fa ancora il manager. «Doppio lavoro per un anno: mi conoscevan­o anche gli alberi. Andai a un appuntamen­to con il direttore marketing di Dolce & Gabbana per vendere un software e mi accolse con “Noooo, disastro!”. Mi ero messo un loro completo. Seguivo Stefano Gabbana anche su Instagram, mi diverte l’idea di un milanese che promuove la sicilianit­à. Mi piacciono anche Paul Smith e Giorgio Armani. Sono un egocentric­o pazzesco, ma mi metto in discussion­e, sono quello che si bastona di più».

Manager giocherell­one

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