VITA NOVA NELL’ANTICO
A Firenze la Biennale dell’Antiquariato si apre agli anni Ottanta. Oltre che a Paesi emergenti. Azzardo? No, la conferma che viviamo in un’epoca avida di suggestioni CRESCONO MERCATI E COLLEZIONI E CAMBIANO I CONFINI TEMPORALI
La crisi ti fa bella. E non è uno slogan. Lo diceva anche il Manzoni con parole più alate. Certo, reinventarsi è una faticaccia, ma tutti i mondi progrediscono così dai tempi dell’homo sapiens: risolvendo i problemi posti dal cambiamento. Ed è accaduto anche all’antiquariato.
Spieghiamoci meglio. Un luogo comune vorrebbe in grave difficoltà il mercato degli oggetti antichi, siano essi quadri, sculture, mobili, suppellettili, libri. Logico giungere, superficialmente, a questa conclusione, perché le case si sono rimpicciolite, i matrimoni non sono più per sempre, la piccola e media borghesia appassionata di simil-capolavori che facevano tanto status sta sparendo e la cultura umanistica è passata di moda. Le tecnologie ci portano a vivere in un presente continuato: non si ha più la percezione del passato né del futuro. E allora si acquistano mobili usa e getta nei grandi magazzini, tutto è virtuale e le pareti si lasciano vuote oppure si adornano con opere pop contemporanee facili da comprendere.
Ma non è così. Negli ultimi anni, il mercato dell’antiquariato, più rigoroso, ha fatto un salto di qualità. Oggi nessuno compera più generiche nature morte per la sala da pranzo o paesaggi per il soggiorno, e nemmeno imitazioni di Maggiolini assemblate da modesti artigiani. E per fortuna, verrebbe da dire. Viene invece contesa, in un mercato senza più confini, l’opera dell’artista o del grande artigiano che guadagna valore nel tempo.
I collezionisti nel mondo sono aumentati e sono diventati sempre più esperti; ciò ha espulso dal mercato i venditori improvvisati ma, al tempo stesso, offre opportunità a quelli di valore. Una selezione della specie evidente nelle grandi fiere internazionali, come potremo osservare a Firenze alla Biennale dell’Antiquariato, dove verrà valorizzata un’altra tendenza in corso: l’apertura a uno spazio temporale che arriva fino agli anni Ottanta del Novecento. Spiega Fabrizio Moretti, segretario generale dell’appuntamento fiorentino: «Oggi si fanno dialogare opere di epoche anche diversissime, dall’archeologia al contemporaneo, passando per tutti i grandi momenti della storia dell’arte universale».
Aprirsi al modernariato degli anni Ottanta potrebbe sembrare un azzardo. E invece no: ha un forte senso storicizzante. Non dimentichiamo che nel 1989 è caduto il Muro di Berlino, è naufragato il comunismo sovietico, quello cinese si è aperto al mercato e si sono spalancate le porte alla rivoluzione tecnologica che ha mutato radicalmente il nostro gusto. Quella linea di confine quindi ha senso, perché l’antiquariato (con la figlia minore che è il modernariato) è anche recupero di mondi impressi nel nostro Dna e ormai sommersi: gli anni Ottanta, per i nati nel terzo millennio, sono una specie di Ancien Régime.
Se il collezionismo è difficilmente soggetto a mode, l’antiquariato amatoriale, diciamo di arredo, per sua natura volatile, è diventato più sexy (passateci la definizione azzardata). Nelle case, oggi, l’oggetto d’arte è coniugato con arredi moderni, di design, di grande artigianato, ma anche ordinari, e in tale contesto l’opera d’arte emerge come un cammeo che illumina e valorizza il luogo in cui è collocato. Così come la tradizione europea viene contaminata sempre più spesso con il modernariato comunista: in molti appartamenti, quadri e oggetti del realismo socialista, da quello sovietico stalinista a quello più recente della Rivoluzione culturale cinese, si sposano con pezzi del tradizionale antiquariato borghese occidentale. E i risultati (nell’apparente contrasto) dobbiamo ammettere che sono eccellenti. Anche questa è un’interpretazione della globalizzazione e, al tempo stesso, una resistenza all’appiattimento del tempo.
Ci resta solo un dubbio: il mercato dell’antiquariato sta uscendo dal suo tradizionale alveo, la Vecchia Europa, per spostarsi in Cina, in Russia, nelle economie emergenti? «No — dice Carlo Orsi, tra gli antiquari italiani più noti nel mondo —. Posso garantire che nonostante le difficoltà incontrate dal nostro Paese negli ultimi anni, la passione per le opere d’arte, per i bei quadri, per gli oggetti d’eccezione non è mai venuta meno. Siamo e restiamo il luogo al mondo dov’è concentrata la maggior parte dei capolavori, nei musei ma anche nelle case private. In Italia, più che nel resto d’Europa, vivono gli amatori e i collezionisti più competenti. Perché? Perché il bello, così come lo abbiamo creato, lo compriamo quasi sempre per amore e non per speculazione».
Questo mondo è anche il recupero di universi impressi nel nostro Dna In molte case gli oggetti ex sovietici convivono con altre tradizioni