Corriere della Sera

VITA NOVA NELL’ANTICO

A Firenze la Biennale dell’Antiquaria­to si apre agli anni Ottanta. Oltre che a Paesi emergenti. Azzardo? No, la conferma che viviamo in un’epoca avida di suggestion­i CRESCONO MERCATI E COLLEZIONI E CAMBIANO I CONFINI TEMPORALI

- di Pier Luigi Vercesi

La crisi ti fa bella. E non è uno slogan. Lo diceva anche il Manzoni con parole più alate. Certo, reinventar­si è una faticaccia, ma tutti i mondi progredisc­ono così dai tempi dell’homo sapiens: risolvendo i problemi posti dal cambiament­o. Ed è accaduto anche all’antiquaria­to.

Spieghiamo­ci meglio. Un luogo comune vorrebbe in grave difficoltà il mercato degli oggetti antichi, siano essi quadri, sculture, mobili, suppellett­ili, libri. Logico giungere, superficia­lmente, a questa conclusion­e, perché le case si sono rimpicciol­ite, i matrimoni non sono più per sempre, la piccola e media borghesia appassiona­ta di simil-capolavori che facevano tanto status sta sparendo e la cultura umanistica è passata di moda. Le tecnologie ci portano a vivere in un presente continuato: non si ha più la percezione del passato né del futuro. E allora si acquistano mobili usa e getta nei grandi magazzini, tutto è virtuale e le pareti si lasciano vuote oppure si adornano con opere pop contempora­nee facili da comprender­e.

Ma non è così. Negli ultimi anni, il mercato dell’antiquaria­to, più rigoroso, ha fatto un salto di qualità. Oggi nessuno compera più generiche nature morte per la sala da pranzo o paesaggi per il soggiorno, e nemmeno imitazioni di Maggiolini assemblate da modesti artigiani. E per fortuna, verrebbe da dire. Viene invece contesa, in un mercato senza più confini, l’opera dell’artista o del grande artigiano che guadagna valore nel tempo.

I collezioni­sti nel mondo sono aumentati e sono diventati sempre più esperti; ciò ha espulso dal mercato i venditori improvvisa­ti ma, al tempo stesso, offre opportunit­à a quelli di valore. Una selezione della specie evidente nelle grandi fiere internazio­nali, come potremo osservare a Firenze alla Biennale dell’Antiquaria­to, dove verrà valorizzat­a un’altra tendenza in corso: l’apertura a uno spazio temporale che arriva fino agli anni Ottanta del Novecento. Spiega Fabrizio Moretti, segretario generale dell’appuntamen­to fiorentino: «Oggi si fanno dialogare opere di epoche anche diversissi­me, dall’archeologi­a al contempora­neo, passando per tutti i grandi momenti della storia dell’arte universale».

Aprirsi al modernaria­to degli anni Ottanta potrebbe sembrare un azzardo. E invece no: ha un forte senso storicizza­nte. Non dimentichi­amo che nel 1989 è caduto il Muro di Berlino, è naufragato il comunismo sovietico, quello cinese si è aperto al mercato e si sono spalancate le porte alla rivoluzion­e tecnologic­a che ha mutato radicalmen­te il nostro gusto. Quella linea di confine quindi ha senso, perché l’antiquaria­to (con la figlia minore che è il modernaria­to) è anche recupero di mondi impressi nel nostro Dna e ormai sommersi: gli anni Ottanta, per i nati nel terzo millennio, sono una specie di Ancien Régime.

Se il collezioni­smo è difficilme­nte soggetto a mode, l’antiquaria­to amatoriale, diciamo di arredo, per sua natura volatile, è diventato più sexy (passateci la definizion­e azzardata). Nelle case, oggi, l’oggetto d’arte è coniugato con arredi moderni, di design, di grande artigianat­o, ma anche ordinari, e in tale contesto l’opera d’arte emerge come un cammeo che illumina e valorizza il luogo in cui è collocato. Così come la tradizione europea viene contaminat­a sempre più spesso con il modernaria­to comunista: in molti appartamen­ti, quadri e oggetti del realismo socialista, da quello sovietico stalinista a quello più recente della Rivoluzion­e culturale cinese, si sposano con pezzi del tradiziona­le antiquaria­to borghese occidental­e. E i risultati (nell’apparente contrasto) dobbiamo ammettere che sono eccellenti. Anche questa è un’interpreta­zione della globalizza­zione e, al tempo stesso, una resistenza all’appiattime­nto del tempo.

Ci resta solo un dubbio: il mercato dell’antiquaria­to sta uscendo dal suo tradiziona­le alveo, la Vecchia Europa, per spostarsi in Cina, in Russia, nelle economie emergenti? «No — dice Carlo Orsi, tra gli antiquari italiani più noti nel mondo —. Posso garantire che nonostante le difficoltà incontrate dal nostro Paese negli ultimi anni, la passione per le opere d’arte, per i bei quadri, per gli oggetti d’eccezione non è mai venuta meno. Siamo e restiamo il luogo al mondo dov’è concentrat­a la maggior parte dei capolavori, nei musei ma anche nelle case private. In Italia, più che nel resto d’Europa, vivono gli amatori e i collezioni­sti più competenti. Perché? Perché il bello, così come lo abbiamo creato, lo compriamo quasi sempre per amore e non per speculazio­ne».

Questo mondo è anche il recupero di universi impressi nel nostro Dna In molte case gli oggetti ex sovietici convivono con altre tradizioni

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Il dialogo Un momento di una delle edizioni trascorse

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