Così mi hanno trasformato in un reperto
Ho appreso la notizia come si fa nelle soap opera, con gli occhi sgranati, la bocca aperta e le dita allargate a ragnatela sul petto: gli anni 80 diventano antiquariato. È l’evento più disastroso dopo il film al cinema delle Spice Girls. Solo ieri sera ascoltavo Nik Kershaw in cuffia e ora mi ritrovo ad asciugare le lacrime contro il polsino della camicia a quadri Enrico Coveri. Mi entra ancora. Me la regalò mia madre perché non sfigurassi, alle superiori, con i miei compagni, tutti abbonati al maglioncino Les Copains che cascava morbido sulla cintura El Charro, con la fibbia grande quanto un tombino. Ma ormai è tutto antico: le cinquanta sfumature di biondo di Sandy Marton, Supercar, il Drive In, il poster di Samantha Fox col chiodo. Quante volte ho strisciato lo sguardo contro quel metro quadro di foto e quanto ho consumato tutti i miei 45 giri di Rick Astley, che imitavo in camera usando un inglese poco levigato. E poi le mie letture: noi ragazzini anni 80 abbiamo perso ripetutamente la nostra verginità sull’intimo del Postalmarket, un classico della letteratura di cui studiavo a fondo ogni pagina, prima di correre davanti alla tele e recuperare l’innocenza con i cartoni di Remy, Candy, Heidi, l’Uomo Tigre. Erano tutti orfani, in quei cartoni, un piede di porco dei sentimenti perfetto. Perché noi eravamo emotivi, noi abbiamo imparato a piangere dalle nostre mamme, avvinte dalle trame improbabili di Capitol e Quando si ama. Era una tv diversa, non c’erano cuochi che lanciavano arrosti per aria o pasticcieri ansiosi di decorare torte di Natale con accurate renne in pasta di zucchero. Sto elaborando un modo efficace per superare il trauma, tipo accendere candele al patchouli o scribacchiare frasi di Osho sulla schiena. Ma forse il modo più facile per uscirne è radunare i vecchi amici delle superiori per una festa in casa, riunirci attorno al tappeto del Twister e scattare un bel selfie. E domani, prima cosa, portare il rullino a sviluppare.