«Noi cacciati senza un perché A Rio puniti oltre i nostri errori»
Parla Khamidulin, il manager dei ciclisti russi che hanno fatto causa alla Wada
Lewis è diverso da me, io non vivrei alla sua maniera, ma non lo critico. In pista è velocissimo, tosto, sbaglia pochissimo Michael Schumacher è il mio idolo da sempre e sarà sempre il numero uno. Mi mancano i suoi consigli, erano perfetti Il futuro? Non ci ho ancora pensato seriamente, ho 30 anni. Non mi vedo al muretto. Ma si fa presto a cambiare idea Avevamo fatto errori col doping, è sicuro, ora però lavoriamo per non sbagliare ancora
«Nel luglio 2016 i primi russi a sbarcare a Rio de Janeiro siamo stati noi del ciclismo: la gara su strada era proprio in apertura dei Giochi. A 48 ore dal via dell’Olimpiade un incaricato dell’organizzazione è venuto al Villaggio e mi ha chiesto di riconsegnare i pass di tre atleti. Non potevano gareggiare: ordine diretto del Cio. Come capo missione ho chiesto cento volte i motivi della decisione. Mai avuto risposte. Quando il Tas ha bocciato il ricorso, ho accompagnato i ragazzi in aeroporto senza potergli spiegare perché li avevano cacciati, spezzando il loro sogno olimpico. Umanamente una cosa orribile. Ora la Wada, l’agenzia internazionale antidoping, ammette che contro Kirill Sveshnikov, Dmitry Strakhov e Dmitry Sokolov non c’erano accuse o prove. Come mi sento? Penso a un nostro vecchio proverbio: quando un pezzo di carne è stato macinato non c’è modo di farlo tornare intero».
Renat Khamidulin, 38 anni, è un ex corridore che, a fine carriera, ha studiato da dirigente con l’obiettivo di rinnovare una disciplina che nella vecchia Unione Sovietica viveva di grande tradizione e grandi sospetti. La nuova Russia ciclistica nasce in Italia quattro anni fa con la benedizione e i fondi (illimitati) di Igor Makarov, magnate dell’energia elettrica, amico di Putin e grande appassionato della disciplina. Lonato del Garda è la seconda casa per tutti i corridori russi di livello internazionale e sede di quella Gazprom Rusvelo ormai presenza fissa al Giro d’Italia. Direttore di Rusvelo, Khamidulin è anche responsabile del team olimpico. «Nel luglio 2016 — spiega — l’Unione Ciclistica Internazionale aveva vistato e approvato le liste dei nostri probabili olimpici. Eravamo tranquilli, lontani dalla bufera dell’atletica leggera, da anni su un percorso del tutto nuovo».
Khamidulin non nega le evidenze: «Sarebbe sbagliato usare la notizia delle accuse cadute per dire che in Russia non c’erano problemi o giustificare i tanti errori commessi. Indietro non si torna: cerchiamo di non sbagliare di nuovo, noi e loro. Col ciclismo avevamo cambiato rotta da tempo. I ciclisti russi emigrati in Europa negli anni Novanta, che voi guardavate come orsi pericolosi fuggiti dallo zoo, appartengono al passato. Noi ci siamo trasferiti in Italia per imparare, per confrontarci con voi ma anche per dire a federazione (Epa)
e Wada che se vogliono controllarci siamo vicini e sempre disponibili. Il doping è una piaga».
Il tradizionale orgoglio sportivo sovietico è stato una molla agonistica o una fregatura? ««Culturalmente noi russi — dice Khamidulin — siamo cresciuti con l’input di dover dimostrare di essere più forti cavandocela sempre da soli, un po’ come una volta facevamo andando in guerra. In alcune discipline forse siamo fermi a questo punto. Lo sport non è una guerra. Per primeggiare dobbiamo aprirci agli altri, condividere le esperienze ed essere trasparenti. Credo che, se ce li lasceranno organizzare, i Mondiali di calcio 2018 potranno essere un momento di svolta. I giornalisti potranno entrare nei nostri impianti, nelle nostre case, nei nostri laboratori e nelle
Ancora fuori Ma 17 agenzie antidoping vogliono i russi fuori anche dai Giochi invernali
scuole dello sport per poterli raccontare al mondo senza censure».
Il mea culpa della Wada sui 95 atleti esclusi dai Giochi senza uno straccio di prova (reso pubblico da uno scoop del New York Times) ha minato la credibilità di Wada e Cio ma non placa il fronte anti russo. Proprio ieri 17 agenzie antidoping internazionali (tra loro Usa e Gran Bretagna, l’Italia non ha aderito) hanno chiesto formalmente al comitato olimpico di escludere la Russia dagli imminenti Giochi invernali di Pyeongchang. La richiesta è motivata con gli ostacoli che le autorità ex sovietiche pongono alle inchieste sull’edizione precedente dei Giochi, quelle di Sochi, che per i rappresentanti delle agenzie sono «il più grande scandalo della storia del movimento olimpico».