«Mi definisco pansessuale Ho amato uomini e donne»
G«L’odore di mia nonna Dina, maremmana di Montemerano. Lo sento ancora oggi. Donna forte, alta, grande; capelli neri sino all’ultimo giorno. Zia Anna andava a caccia, come un uomo».
Lei è senese però.
«Dell’Oca. Nata a Fontebranda, come il mio idolo: santa Caterina. Una ragazza che scriveva al Papa per dirgli quel che doveva fare: una rockstar del tempo. A 5 anni Caterina era scappata di casa. Scappai anch’io. Nessuno se ne accorse: erano tutti a lavorare in pasticceria».
La mitica pasticceria Nannini.
«Cominciai bambina a decorare le torte. A 17 anni presi servizio come operaia: guadagnavo 1.740 lire all’ora, come le altre donne; gli uomini 2.500. Ne litigavo sempre con il babbo».
Rapporto difficile?
«Avevamo una nostra sintonia, ma gli urti erano terribili. Mi vide in minigonna, con la calzamaglia sotto. Diede uno schiaffo alla mamma — il primo e l’ultimo della sua vita —, prese le forbici e ridusse la gonna a striscioline. Da allora porto solo pantaloni».
È considerata una sportiva.
«Lo sono. Giocavo a tennis a livello agonistico. Arrivai in finale al torneo di Bibbiena: presi 6-0 6-0 da una certa Marta Dassù. Decisi allora di dedicarmi alla musica. L’ho rivista in tv poco tempo fa: è esperta di geopolitica, presidente dell’Aspen».
In fabbrica lei ebbe un incidente.
«Lasciai nella macchina per i ricciarelli le falangi del medio e dell’anulare della mano sinistra. Finirono nell’impasto dei dolci, ma nessuno li ha mangiati; li ritrovarono il giorno dopo, troppo tardi per riattaccarli. Cacciai un urlo terribile, la voce roca mi è venuta allora. Poi svenni. Al conservatorio mi bocciarono: al pianoforte le scale venivano un po’ zoppicanti. Ridiedi l’esame con due piccole protesi di plastica e le unghie finte: lo passai. L’assicurazione versò due milioni. Mi ci pagai la fuga».
Dove? ianna Nannini, qual è il suo primo ricordo?