Corriere della Sera

«A De Caprio non rispondo, parlerò con i magistrati»

Lucia Musti, capo della Procura di Modena: ognuno si prende le responsabi­lità di quello che dice

- Di Marco Imarisio (Ansa) (foto Ansa)

Le parole arrivano con il rumore di fondo del traffico e dell’affanno. «Il colonnello Sergio De Caprio può dire quel che vuole per provocarmi. Tanto io non gli rispondo».

Lucia Musti va di fretta. Sta uscendo dall’ufficio dopo una giornata che più complicata non si può e deve subito chiamare gli uomini della scorta che la seguono ormai dal 2012, da quando un pentito rivelò le attenzioni nei suoi confronti da parte di alcuni esponenti del clan dei Casalesi. «Non mi metto certo a fare un botta e risposta con lui. Non ci casco. Ognuno si prende la responsabi­lità di quel che dice. Io risponderò solo alle domande dei magistrati. Gli atti della mia deposizion­e al Csm sono stati mandati alla Procura di Roma per quello. Funziona così, il colonnello dovrebbe saperlo».

Il tono grave della voce non ha nulla a che vedere con le incombenze quotidiane. E neppure con l’onda lunga sollevata dal suo resoconto degli incontri con il capitano Gianpaolo Scafarto e De Caprio, ovvero Ultimo, che le illustrava­no a quanto pare con un certo entusiasmo l’ormai celebre informativ­a sul caso Consip, trasmessa per competenza anche alla Procura di Modena, da lei guidata. Nata a Sabaudia, ma di origini e radici pugliesi, Lucia Musti ha un aspetto giovanile che non rivela i suoi venticinqu­e anni in magistratu­ra, attraversa­ti con la nomea della gran lavoratric­e dotata di una inusuale franchezza dialettica.

Cominciò a Lanusei, profonda Sardegna, occupandos­i subito di vicende pesanti, due casi di omicidio e un sequestro di persona. Subito dopo venne Bologna, diventata la sua città adottiva, dove prima di entrare nell’Antimafia condusse l’inchiesta sui delitti dei cosiddetti Bambini di Satana e istruì il processo contro i killer della Uno bianca.

Il suo nome resta legato all’angosciant­e mese di indagini sul sequestro del piccolo Tommaso Onofri, il bambino rapito e ucciso vicino a Parma nel 2006. La telefonata che la informava della scomparsa del bimbo e la incaricava del caso le arrivò mentre era all’ospedale Sant’Orsola di Bologna, cercando un letto per il padre, malato grave di Alzheimer, colpito da un’epatite che si sarebbe rivelata fatale. Era stato un alto ufficiale dei Carabinier­i, uno dei più fidati collaborat­ori del generale Dalla Chiesa. «Aveva la divisa cucita sulla pelle», disse una volta. Lucia Musti non aggiunge altro, il momento è molto più che delicato. Ma l’amarezza che trapela dalle sue parole ha radici profonde. «Certo che risponderò ai colleghi di Roma. Io non ho nulla da nascondere».

La deposizion­e «La mia deposizion­e è stata inviata ai pm romani, il colonnello sa come funziona»

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Magistrato Lucia Musti guida la Procura di Modena

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