Perché nessuno crede alle vittime delle violenze?
Sono giorni che leggiamo di stupri che si succedono ad una velocità inquietante. Secondo i dati Istat 2017 quasi una donna su tre ha subìto una forma di violenza fisica o sessuale. A fronte di questi numeri è irrisoria la quantità di denunce: meno del 10%. La punta di un mastodontico iceberg. Perché le donne non denunciano? Semplice: pensano che la loro dignità, il loro corpo e la loro libertà non valgano tanto da imporre un processo nei confronti di chi le viola e temono di non essere credute. È un problema culturale che interroga tutti. Nessuno ha alibi per il silenzio mortifero del 90% delle vittime e per un’opinione pubblica colpevolmente assuefatta. La violenza contro le donne non è solo un fenomeno criminale, altrimenti con le leggi che abbiamo lo avremmo sconfitto da tempo. Chi subisce violenza vive in un contesto di omertà e isolamento che ha una matrice analoga a quella mafiosa: la vittima non denuncia per paura, i testimoni non hanno mai visto e sentito nulla. Come già 50 anni fa, l’esame, anche mediatico, si concentra sulle condizioni della donna e sui suoi comportamenti, mai sull’autore del delitto, a meno che non sia straniero. Perché se una donna denuncia una violenza si mette sempre in discussione la sua versione svelando, semmai, come elemento decisivo che avesse bevuto? Perché continuiamo a rispondere al solito, inaccettabile, cliché culturale del consenso presunto, che troppo spesso ancora ammorba le aule di giustizia, secondo cui se la vittima non resiste, non urla, non fugge, significa che vuole il rapporto sessuale non richiesto. Però alla vittima di una rapina nessuno chiederebbe mai se avesse accettato di buon grado e quanto avesse bevuto. Dove c’è solo la mia parola contro la tua diventa cruciale il contesto culturale, la riprovazione sociale e verso chi si dirige la solidarietà umana. Due studentesse straniere denunciano dei carabinieri per stupro e si condisce la notizia con l’avvenuta firma di un’assicurazione che le risarcisce per danni da violenza, così insinuando il dubbio che potrebbero mentire per arricchirsi. Ancora una volta il pregiudizio che le donne mentono per un fine. Perché? Per lo stesso motivo per cui Noemi è morta a 16 anni, nonostante tutti sapessero quel che subiva, perché a una donna nessuno crede finché non è per terra riversa. E lei lo sa.