IL CAMBIO DI STAGIONE DELL’INTEGRAZIONE EUROPEA
Con il discorso di Juncker, l’Ue che ancora un anno fa aveva il problema del primum vivere, torna oggi a porsi il tema quasi smarrito delle sue finalità
Strategie Francesi e tedeschi sono impegnati in un intenso lavoro di proposte da presentare ai partner
Passerà alla storia dell’Unione come il discorso del capitano. Il comandante unico della nave europea, che Jean-Claude Juncker offre come tratto originale e distintivo di un’Europa nuovamente spinta da venti favorevoli verso la terra promessa della maggiore integrazione: una velocità, una moneta, un presidente, un Parlamento.
Quello del capo della Commissione a Strasburgo è stato probabilmente il canto del cigno dell’ultimo federalista. Ma sarebbe sbagliato liquidarlo soltanto come un sogno.
In primo luogo perché certifica solennemente un radicale cambio di stagione: l’Europa che ancora un anno fa aveva il problema del primum vivere, torna oggi a porsi il tema delle sue finalità, che era stato quasi smarrito nelle nebbie della crisi e dei populismi arrembanti. È un fondamentale rovesciamento di paradigma, rafforzato anche da altre scelte suggestive e simboliche, come il discorso di Emmanuel Macron davanti all’Acropoli, «specchio ineluttabile della nostra identità europea». Non più la famigerata trojka a dettare lacrime e sangue alla Grecia, ma un presidente francese che sceglie la culla della democrazia per ragionare sul futuro.
Certo c’è tanta, forse troppa carne al fuoco nella quasi romantica visione della «taglia unica» schizzata da Juncker per l’Unione del 2025: l’euro per tutti, l’unione bancaria, il ministro delle Finanze con doppio cappello di membro della commissione e guida dell’Eurogruppo, il Fondo monetario europeo, il voto a maggioranza qualificata al posto dell’unanimità in materia di tasse e bilancio. E poi l’Agenzia per la Sicurezza cibernetica, un piano Marshall per l’Africa, le liste transnazionali per il Parlamento europeo. Di tutto, di più. Gioiello della corona: un solo presidente per la Commissione e il Consiglio, simbolo fisico della sintesi tra le due visioni che da 60 anni tormentano l’Europa, quella federalista e quella inter-governativa.
È noto che su altri canovacci, meno ambiziosi e proteiformi, procedono le riflessioni di francesi e tedeschi, impegnati in queste settimane in un intenso lavoro di messa a
punto delle proposte che Emmanuel Macron e Angela Merkel vorrebbero presentare ai partner europei dopo le elezioni tedesche, divenute ormai una sorta di spartiacque, boa decisiva per la navigazione europea. Non sarà indifferente, anzi al contrario, con quale coalizione la cancelliera affronterà il suo (ormai certo) quarto mandato. In ogni caso Berlino e Parigi, ma anche l’Italia e la Spagna, puntano alle diverse velocità. Ancora, la Germania non vuole un ministro delle Finanze con un bilancio comune da gestire. Di nuovo ieri, Angela Merkel ha detto che la comunitarizzazione del debito resta un tabù, tanto più lo sarebbe se con lei al governo ci fossero i liberali. Quanto alla Francia di Macron, resta un ircocervo, dove neo-gollismo ed europeismo si fondono e confondono: difficile immaginare che cederà sovranità su tasse, politica estera e di sicurezza, mentre chiede il salto di qualità per l’Eurozona.
Ecco dunque che rischia di riprodursi la sindrome del vecchio marinaio, come ammonì Altiero Spinelli in un celebre discorso proprio davanti al Parlamento europeo: il grande pesce fatto balenare da Juncker rischia di ritrovarsi spolpato fino alla lisca dall’assalto dei governi, che non vogliono o non possono cedere alle sirene neo-federaliste del vecchio leader lussemburghese.
Eppure, proprio in questo destino apparentemente scontato sta la forza del discorso del capitano. Riproporre in maniera quasi sfacciata la centralità delle istituzioni comunitarie, il Parlamento e la commissione, era il solo modo di riaprire all’Europa una prospettiva che sembrava perduta, ma che invece torna a essere «salonfähig», degna di essere discussa e sostenuta. Certo Juncker lo fa pro domo sua, ipotizzando una Supercommissione che sarebbe molto piaciuta a Jacques Delors. Ma in questo modo offre una sponda a quanti diffidano dei direttori e non si entusiasmano per le diverse velocità. Come nel mito di Sisifo riletto da Camus, da politico consumato Juncker sa bene che il suo sforzo rischia di rivelarsi del tutto inutile, che il sasso alla fine probabilmente rotolerà a valle. Ma sa anche che quello sforzo è assolutamente necessario. In questo senso, con Camus, dobbiamo considerare Jean Claude Juncker un uomo felice.