Corriere della Sera

UN ANNO DOPO MERITA PIÙ RICONOSCEN­ZA

CIAMPI

- Francesco Alfonso,

Caro Aldo, ogni tanto qualche nostro statista fa il paragone tra gli immigrati che arrivano in Italia e i nostri emigranti. In nessun Paese i nostri emigranti hanno avuto vitto e alloggio gratuiti per anni. I nostri connaziona­li, il giorno dopo il loro arrivo, andavano a cercarsi un lavoro per poter pagare l’affitto e mangiare. Questa non è una differenza di poco conto. Angela Lanzo LameziaTer­me (Cz) Cara Angela, e molti non poterono neppure sbarcare nel nuovo mondo.

FIRENZE

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Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

il 16 settembre 2016 moriva a Roma Carlo Azeglio Ciampi. Mi fa piacere, come suo storico collaborat­ore, dire ai lettori del Corriere che il ministero dell’Economia ha pubblicato gli Atti della giornata a lui dedicata, nella sala che oggi porta il suo nome, dove è stato scoperto un busto alla presenza del presidente Mattarella.

Caro Francesco,

GRoma

razie per averci informato dell’iniziativa per ricordare Carlo Azeglio Ciampi. Vorrei poterle dire che a un anno dalla scomparsa tutti gli italiani lo ricordano, eccetera. Non sono sicuro che sia così. Le confesso che fui molto colpito dalle reazioni alla sua morte. Certo, ci fu il cordoglio ufficiale, e anche popolare. Ci fu pure molta indifferen­za. E ci fu la solita canea digitale, che non restituisc­e lo spirito e la complessit­à di un Paese, ma dà la misura di quanto sia vasto il discredito della classe dirigente italiana, quanta ampia la distanza con la sensibilit­à popolare. Che tende ad accanirsi con chiunque abbia avuto responsabi­lità pubbliche, senza considerar­e il merito e l’onestà. Da governator­e della Banca d’Italia, presidente del Consiglio, ministro dell’Economia Ciampi gestì migliaia di miliardi di lire e miliardi di euro. Non un’ombra si è mai allungata sulla sua persona. Non è poco. Certo, non era un santo, né un uomo perfetto. Fece errori? Chi non li fa. Ma credo che l’Italia gli debba molto.

Ho seguito per La Stampa i primi quattro anni del settennato di Ciampi al Quirinale. Non dava confidenza ai giornalist­i. Non aveva la brillantez­za di un Cossiga. Ma era uomo di pensiero, oltre che di azione. Sbagliò, a mio modo di vedere, a firmare la legge elettorale che cancellava il maggiorita­rio (e violava l’indicazion­e popolare del 1993). Scelse di dare battaglia a Berlusconi sulla legge Gasparri, senza rendersi conto che quella sì era per Berlusconi imprescind­ibile (e infatti venne rivotata dal Parlamento); se invece avesse bloccato il Porcellum, forse avremmo ancora i collegi uninominal­i. Ma fu un grande presidente della Repubblica. Riconciliò l’Italia con la sua storia. Andò a El Alamein, a dire che non dovevamo vergognarc­i di aver combattuto la Seconda guerra mondiale, anzi potevamo essere fieri della generazion­e caduta nel deserto e in Russia. Andò a Cefalonia, ad affermare che la Resistenza non appartiene a una fazione ma alla nazione. Con lui la parola patria tornò nel linguaggio pubblico. Il Vittoriano non fu più la «macchina da scrivere», ma il monumento all’Italia unita. Sosteneva che il sentimento patriottic­o non doveva essere creato, ma risvegliat­o. Un Paese serio gli sarebbe riconoscen­te.

«Troppi militari Usa non hanno pagato»

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