Corriere della Sera

La radio di Osman per la libertà eritrea

- Di Paolo Lepri

In «pompa magna» tempo fa i nostri governanti hanno lanciato l’operazione «Trasparenz­a» sui conti pubblici. In teoria, il cittadino, navigando in Internet, dovrebbe capire come vengono spesi i soldi dei contribuen­ti. Nella pratica, però, le varie amministra­zioni pubblicano solo bilanci indicando generiche spese sommate per grossi capitoli (personale, attrezzatu­re, ecc.). Siamo ancora lontani anni luce dalla vera trasparenz­a! Sono convinta che dovrebbe essere giusto e obbligator­io esporre in modo chiaro ed esauriente quanti soldi guadagna ogni singola persona pagata con i soldi dei cittadini.

Giorgia Rossi, Mantova

La Corea del Nord africana? Non ci sono dubbi, è l’Eritrea. Lo sa bene Fathi Osman, ex diplomatic­o fuggito in Francia e animatore di Radio Erena, l’emittente fondata da un altro dissidente in esilio, il giornalist­a Biniam Simon. Secondo il Consiglio dei diritti umani dell’Onu, le «pratiche totalitari­e» del regime di Isaias Afeworki, leader dell’indipenden­za e presidente al potere da ventiquatt­ro anni in cui non si sono mai tenute elezioni, dimostrano un «totale disprezzo per la libertà dei cittadini»: servizio militare illimitato, lavoro forzato, interferen­ze nei culti religiosi, repression­e della stampa e del diritto di parola. È chiaro quanto ci sia bisogno delle informazio­ni che arrivano da quell’appartamen­to parigino. «La nostra — afferma — è la voce di chi non ce l’ha».

Nel passato di questo intellettu­ale cinquantun­enne leggiamo le sofferenze, che la storia conosce, di chi «diserta» tentando di lasciarsi alle spalle uno Stato-prigione: la separazion­e dalla famiglia (tenuta inizialmen­te in ostaggio in patria), il ricongiung­imento difficile, l’amaro sollievo del mettere le radici in un mondo diverso. Ancora meno fortunati di lui, però, sono le migliaia di disperati che iniziano questo viaggio camminando nella sabbia. L’Europa deve accoglierl­i stabilendo priorità condivise e sostenibil­i. Soprattutt­o perché, come ha detto Osman al Guardian, «da noi la vita è una sorta di vita a metà, una morte vissuta».

In un saggio, From the Dream of Liberation to the Nightmare of Dictatorsh­ip, Osman traccia un legame a suo giudizio inevitabil­e tra la lotta di liberazion­e e l’involuzion­e autoritari­a del Paese. Non è sicuro, in realtà, che le cose siano così semplici. La forza della delusione sta in un’osservazio­ne molto umana: «Avevamo sperato che arrivare all’indipenden­za così tardi ci desse il vantaggio di non fare gli errori degli altri, ma non è stato così». Certo, sembra un secolo da quando, durante una nottata di festa impression­ante, il vessillo del nuovo Stato fu issato in piazza Primo settembre nel cielo effervesce­nte di Asmara. E ora i rami di ulivo di quella bandiera, simbolo di una giusta causa nazionale, disegnati su un triangolo rosso, stanno scomparend­o alla vista per una sorta di illusione ottica provocata dalla coscienza.

@Paolo_Lepri

«Siamo lontani anni luce dalla vera trasparenz­a»

Fathi Osman,

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51 anni, giornalist­a eritreo
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