Putti, maschere e fiori di pietra Rinasce l’ottava follia di Gaudí
Casa Vicens, miraggio arabeggiante, riapre a Barcellona Fu la «palestra» dell’architetto della Sagrada Familia
l conto alla rovescia in Carrer de Les Carolines, uno dei più pittoreschi vicoli in discesa della Villa de Gracia, sta per terminare. In ottobre aprirà per la prima volta al pubblico i suoi battenti Casa Vicens, il palazzo giardino che fu la prima opera realizzata dall’architetto catalano Antoni Gaudí, e sarà l’ottavo e ultimo edificio inserito dall’Unesco tra i Patrimoni dell’Umanità a essere inaugurato a Barcellona. Dopo gli attentati di agosto, questa imminente apertura rappresenta per la città un modo per tornare a far sorridere la sua popolazione. La gente di Gracia, il barrio incastonato tra i bunker della resistenza al regime franchista e il geometrico Eixample, in particolare, ha già adottato l’abitazione progettata su commissione dell’agente di borsa Manuel Vicens y Montaner e ora riportata al suo antico splendore, grazie a un investimento dell’andorrana MoraBanc. A curare il restauro sono stati gli architetti José Antonio Martínez Lapeña, Elías Torres e David García, che hanno cercato di attenersi il più possibile al progetto originario risalente al 1885, poi modificato parzialmente nel 1925 da Joan Baptista Serra de Martínez, un seguace di Gaudí, che la ampliò affinché accogliesse tre famiglie su altrettanti piani.
I ragazzi sugli skate, le famiglie a passeggio col cane e anche tantissimi turisti sfilano già numerosi davanti a questa sorta di miraggio architettonico moresco per farsi un selfie tra le mattonelle rosse, le torrette sulle quali sono assisi putti, davanti alle maschere in ferro che spuntano dalle inferriate dei balconi. Fabio Ceresa, cinquantenne bresciano che ha aperto una gelateria proprio di fronte, è tra i più euforici: «Ho inventato il gusto Gaudí alla fragola per celebrare questa riapertura. Dalla finestra della mia abitazione, vedo tutti questi fiori colorati disegnati sulle mattonelle che adornano la facciata, sembra proprio di essere affacciati su di un parco fatto di pietre e mattoni».
Gli operai che stanno ultimando i lavori oggi sono generosi e ci lasciano entrare in questa casa estiva che fu la «palestra» di Gaudì: appena 31enne, l’architetto stava cercando di definire uno stile proprio, capace di incarnare gli stilemi della traduzione modernista catalana ma, al tempo stesso, in grado di sviluppare motivi figurativi che fossero molto personali e unici. Ecco, dunque, dopo l’incanto della facciata arabeggiante, emerge-