#lamiaCaporetto: dalla disfatta proverbiale alla vita quotidiana
Manca poco più di un mese al centenario di una battaglia, anzi di una sconfitta, che fu così drammatica e devastante da essere entrata non solo nella storia, ma anche nel linguaggio quotidiano: la battaglia di Caporetto, che tra l’ottobre e il novembre 1917 travolse l’esercito guidato dal generale Luigi Cadorna. E proprio a questa débâcle proverbiale il nuovo numero de «la Lettura» — il #303, che sarà in edicola fino a sabato 23 settembre — dedica servizi e articoli particolari.
Intanto, due noti studiosi della Prima guerra mondiale, Paolo Gaspari e Nicola Labanca, in un’ampia conversazione a cura di Antonio Carioti, discutono delle responsabilità militari ma anche istituzionali della sconfitta, per capire quali furono gli errori di Cadorna, e le mancanze imputabili invece al fragile quadro politico italiano dell’epoca.
Il fatto che una sconfitta sia diventata proverbiale è poi interessante anche sotto altri aspetti: ne scrive il linguista Giuseppe Antonelli, che rintraccia i tanti modi di dire legati a temi storici che usiamo tutti i giorni, ad esempio se diciamo di aver ottenuto una «vittoria di Pirro» o di aver subìto appunto «una Caporetto».
Così, vogliamo ricordare la centenaria battaglia proponendo ai lettori di usarlo, questo modo di dire, e di raccontare e condividere le loro sconfitte o ritirate, i loro personali «disastri» degni di essere definiti #lamiaCaporetto: con questo hashtag, sugli account de «la Lettura» su Twitter (@La_Lettura), su Instagram (@la_lettura) e sulla pagina Facebook, aspettiamo i vostri interventi.
Un grande vincitore che pagò carissima la vittoria fu Abraham Lincoln: uscito trionfante dalla guerra di Secessione, cadde però vittima di un attentato, nel 1865, per mano di un simpatizzante sudista. La perdita di questo padre della patria ispirò la poesia più celebre di Walt Whitman, O Capitano! Mio capitano!, in cui il poeta individuava la potenza non solo politica, ma morale, umana, simbolica del presidente. Due pagine sono dedicate, nell’inserto, proprio al capolavoro di Whitman, Foglie d’erba, di cui è uscita la nuova traduzione nei Meridiani Mondadori. Roberto Galaverni illustra le vicende della raccolta su cui il grande poeta lavorò per tutta la vita fin sul letto di morte, mentre a commentarne l’eredità per gli Stati Uniti di oggi è il giovane poeta Ocean Vuong: «Era letteratura — scrive su «la Lettura» — che aveva gettato a terra vestiti e maschere».
Era, anche, la voce di un’America che cercava i propri valori e, dopo la guerra di Secessione, anche un’identità comune; e l’inserto si apre con un ampio intervento di Maurizio Ferrera su quelle che sono invece oggi le inquietudini e la voglia di «divisione» delle «piccole patrie ricche», con spinte variamente motivate all’indipendenza o all’autonomia, mentre l’antropologo Adriano Favole illustra come gli esempi di autonomia e interdipendenza di alcune isole dei Caraibi, siano divenuti «esperimenti di sovranità» nuovi e interessanti.