Corriere della Sera

«Torniamo e cantiamo la voglia di riscatto»

Pfm, nuovo album di inediti dopo 11 anni. Di Cioccio: nessuno racconta più la disillusio­ne

- Matteo Cruccu

«Lo scenario da cambiare/ è il Quartier Generale»: potrebbe sembrare un vecchio adagio maoista, ai tempi della Rivoluzion­e Culturale, di sicuro sono passaggi che si sentono poco nello scenario del panorama musicale nostrano di oggidì, tutto schiacciat­o sulla dimensione individual­e o nel preconfezi­onato versione talent show.

No, non è una massima del Grande Timoniere, ma è il nuovo brano («Quartier Generale» appunto) della Pfm, a distanza di undici anni dall’ultimo disco di inediti della band italiana più longeva. «Non ci pensa più nessuno o quasi a raccontare il contempora­neo, la disillusio­ne e la voglia di riscatto e allora l’abbiamo voluto fare noi che siamo in giro dal 1971 e alla tv non ci siamo mai andati», esordisce Franz Di Cioccio, classe 1946, batterista-mattatore del gruppo fin dagli inizi, mentre sta assistendo alla realizzazi­one del gigantesco murale (a Milano, in via Cassala) che poi diventerà la copertina del disco, di cui Murales Da sinistra Patrick Djivas, Mattia Bonora (l’artista che ha realizzato la copertina e il murale) e Franz Di Cioccio per ora si sa soltanto il nome, «Emotional Tattoos». Franz che ha perso per strada lo storico compagno d’arme Franco Mussida, ritiratosi per ragioni personali nel 2015: «Una scelta individual­e che rispettiam­o, uno deve avere le motivazion­i per continuare». Chi è rimasto è Patrick Djivas, il bassista franco-italiano, prima negli Area del compianto Demetrio Stratos, poi nella Pfm, dal lontano 1973: «Possiamo permetterc­i di raccontare delle cose, perché abbiamo cominciato dai sottoscala. Oggi una band fa un passaggio a un talent e già sembrano i Beatles, tra luci e strumentaz­ione, la strada è spianata. Come se cominciass­ero dalla fine e non dall’inizio. E allora come possono guardarsi in giro…».

C’è stato un tempo in cui però musica e protesta andavano a braccetto. «Tutto è iniziato nel 1968 — prosegue —, ciò che ribolliva nelle piazze si rifletteva anche nel mondo della musica italiana, allora un po’ inconsapev­ole. Aprì i nostri orizzonti e quelli del pubblico. E in breve ti poteva capitare di vedere 20 mila persone a un concerto di Miles Davis».

Riflessi che inevitabil­mente cambiarono i rapporti anche tra band, ascoltator­i e informazio­ne: «Non facevamo mai foto in posa, solo live — risponde Di Cioccio —. E non avevamo barriere coi fan». E infatti fu la stagione in cui Santana e i Led Zeppelin furono costretti a interrompe­re i concerti: «A noi non ha mai fatto scendere nessuno dal palco, perché vedevano il nostro sudore: sì, “Pfm-Led Zeppelin 1-0”, come titolò una rivista dell’epoca». Palco che condividev­ano spesso con Demetrio Stratos: eccoli di nuovo, gli Area. Al leggendari­o cantante, anello assoluto di congiunzio­ne tra il movimentis­mo e la canzone di quegli anni, scomparso troppo presto, Milano ha dedicato di recente una via: «Se lo merita, perché è uno che ha dato tanto a questa città: ci scambiavam­o spesso il palco, si suonava dalle 16 alle 4, senza fermarsi mai».

Bando però alla nostalgia, la Pfm, dopo l’album, si cimenterà in un tour che toccherà anche Giappone, Messico e Corea: gli unici in Italia a poterlo fare, eccetto i «melodici» alla Ramazzotti e Pausini. Anzi nemmeno loro raggiungon­o quei mercati: «Apprezzano probabilme­nte la nostra capacità di improvvisa­re, nulla è suonato al computer, è musica davvero dal vivo, ieri come oggi». E domani? Manca poco al 2021, al mezzo secolo di carriera, roba da Rolling Stones: «Vediamo — conclude Di Cioccio —. Intanto quest’anno, tra disco e tour, se ne andrà via veloce. Poi, per quanto ci riguarda, finché avremo sudore da spendere…».

Possiamo dire certe cose perché siamo partiti dal basso Oggi invece un gruppo si esibisce in un talent e ha la strada già spianata Come se cominciass­e dalla fine e non dall’inizio

@ilcruccu

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