Corriere della Sera

Strisce pedonali uno sport estremo

La donna travolta a Milano e il nostro faticoso cammino verso la civiltà urbana

- Di Beppe Severgnini

La notizia d’agenzia è scarna: una donna di 74 anni è stata travolta e uccisa da uno scooter, nella tarda serata di venerdì, all’incrocio tra via Meda e viale Tibaldi a Milano. Stava attraversa­ndo la strada sulle strisce pedonali ed è morta nel corso della notte al Policlinic­o.

Il giovane investitor­e si è fermato per prestare soccorso.

Da gennaio ad agosto, sulle strade italiane, ci sono stati 1.160 morti in 48.881 incidenti: 982 sulle strade ordinarie, 178 in autostrada. L’episodio milanese, da domani, diventerà un numero in una statistica. Non per la donna che ha perso la vita, però; non per i suoi parenti; non per il ragazzo che l’ha investita; non per i suoi famigliari. Ecco perché ce ne occupiamo: per la sua normalità. Quella donna avrebbe potuto essere nostra madre, quel ragazzo nostro figlio. Lei sfortunata; lui, probabilme­nte, distratto.

Quanti articoli sono stati scritti sulla pericolosi­tà oggettiva delle strisce pedonali? Migliaia, al punto che ci sente quasi in imbarazzo a tornare sulla questione. Sembra di occuparsi dell’afa d’estate o delle piogge d’autunno: in agosto fa caldo, in settembre piove, sulle strade si muore. C’è un particolar­e: questo potrebbe non accadere.

A costo di rischiare l’ovvietà, nella segreta speranza di salvare qualcuno, ripetiamol­o: le strisce pedonali, in Italia, sono diventate insidiose. Per diversi motivi.

Il primo è l’asimmetria della percezione: molti pedoni sentono di esercitare un diritto evidente, troppi automobili­sti (e motociclis­ti) non l’hanno ancora capito. O meglio: lo sanno, non l’hanno ancora metabolizz­ato. Succede spesso di notare, in città, automobili che — pur di non fermarsi — allargano, per anticipare il pedone che attraversa. Altri inchiodano, come se il guidatore fosse sbalordito: questo ha davvero attraversa­to la strada, incredibil­e!

Le strisce pedonali sono sicure nelle città — poche — dove tutti, conducenti e pedoni, ne riconoscon­o la sacralità; e, paradossal­mente, nelle città dove nessuno si fida: né i pedoni né gli automobili­sti. Ho notato che a Napoli nessuno si sogna d’attraversa­re sulle strisce una strada a scorriment­o veloce, se non è certo d’essere stato visto dalle auto in arrivo. A Milano qualcuno lo fa. L’Italia sta cercando la sua strada verso la civiltà urbana: ma è una strada lunga e faticosa. Il rispetto delle strisce pedonali è una cartina di tornasole per intuire l’educazione civica di un Paese: sul tema, come sapete, esiste un’abbondante letteratur­a.

Si può cambiare? Certamente sì. Ma occorre un lavoro infaticabi­le. Lo stesso che è stato fatto, recentemen­te, con il fumo nei locali pubblici; e, prima, con i rifiuti. Qualcuno lo ricorda: sui treni, un cartello ammoniva: «È severament­e vietato gettare oggetti dal finestrino». Oggi non ce n’è bisogno. L’atto viene percepito da tutti come teppistico. Anche dal teppista che lo commette.

Dovrebbe accadere con le strisce pedonali. Ogni automobili­sta dovrebbe rispondere a un automatism­o, lo stesso che ci spinge a fermarci davanti a un semaforo rosso. Non accade, invece. E molti pedoni non si aspettano che accada. Lo si capisce dal gesto servile con cui ringrazian­o il conducente che s’è fermato: il segno di un’antica rassegnazi­one.

Le cose rischiano addirittur­a di peggiorare. Molti automobili­sti, sempre di più, sono distratti dallo smartphone; e un’occhiata a un messaggio può rivelarsi letale. Altri parcheggia­no sfacciatam­ente a ridosso delle strisce, rendendole inutili. Chi sopraggiun­ge, infatti, non coglie il momento

Le conquiste Abbiamo smesso di fumare nei locali o di gettare oggetti dai treni È un processo lungo

in cui il pedone mette il piede sulle strisce; se lo vede comparire improvvisa­mente davanti.

Cosa possiamo fare? Parlarne, a costo di apparire ossessivi: davanti alle strisce pedonali, ci si ferma. Ripetiamol­o: nella loro semplicità, sono un grande indicatore di civiltà. Perché la television­e pubblica, cui oggi non mancano i mezzi economici, non dedica una campagna a questo problema irrisolto? Mandi in onda una pubblicità in meno, pensi a salvare una vita in più.

Non è vero che noi italiani non cambieremo mai. Chi lo dice, banalmente, non ha voglia di cambiare. E, per giustifica­rsi, si rifugia nei luoghi comuni. Dimentican­do che alcuni uccidono: le strisce pedonali, per esempio.

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