Corriere della Sera

La minaccia di Kim: abbatterem­o i jet Usa

La Corea del Nord dopo gli ultimi tweet di Trump su Kim: «L’America ci ha dichiarato guerra»

- di Guido Olimpio e Guido Santevecch­i

Sale la tensione tra Corea del Nord e Stati Uniti. «Le parole di Trump sono una dichiarazi­one di guerra, abbatterem­o i loro jet» dice il regime di Kim. E Washington: «Il nostro arsenale è pronto per la Corea».

Per gli americani è un tweet del presidente; per i nordcorean­i «una dichiarazi­one di guerra». Sabato scorso, messaggio dall’account di Trump: «Ho appena ascoltato il ministro degli Esteri della Corea del Nord parlare all’Onu. Se le sue parole riflettono i pensieri di Little Rocket Man, tutti costoro non resteranno in circolazio­ne molto a lungo».

Ieri il ministro degli Esteri di Pyongyang, Ri Yong-ho, ancora nel Palazzo di Vetro, ha annunciato: «Questa è una dichiarazi­one di guerra che consente alla Corea del Nord di assumere le contromisu­re del caso, in base allo statuto dell’Onu. Tutto ciò include il diritto di abbattere i bombardier­i strategici americani anche se non sorvolano il nostro Paese». Il riferiment­o è alla squadrigli­a di B-1 e di caccia F-15 inviata dal Pentagono il 23 settembre al largo delle coste nordcorean­e. Il rimpallo di dichiarazi­oni è piuttosto sinistro. Lo stesso Ri Yong-ho ha aggiunto: «Il mondo dovrebbe ricordare con chiarezza che sono stati gli americani a dichiarare per primi la guerra al nostro Paese. Poi vedremo chi non resterà in circolazio­ne a lungo». Nel pomeriggio la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders ha risposto in modo secco: «Gli Stati Uniti non hanno dichiarato guerra. Francament­e è un’idea assurda».

In parallelo arriva l’avvertimen­to del Pentagono: «Se la Corea del Nord non interrompe­rà le provocazio­ni, forniremo al presidente tutte le opzioni possibili. Abbiamo un arsenale immenso da mettere a disposizio­ne».

L’escalation verbale riflette lo stallo politico sotto traccia. La settimana dell’Assemblea generale, appena trascorsa, si è rivelata inutile. La sensazione diffusa nel Consiglio di sicurezza dell’Onu era, ed è, che gli americani non vogliano lo scontro militare con il dittatore Kim Jong-un, il «Little Rocket Man» di Trump.

Il problema è che alla moderazion­e degli intenti non sembra corrispond­ere una strategia coerente. I cinesi continuano a chiedere a Trump di inviare non bombardier­i, ma segnali di disponibil­ità a trattare con Pyongyang. Tuttavia, per usare le parole del premier italiano Paolo Gentiloni, «al momento non ci sono spazi di dialogo con la Corea del Nord». I russi sono sempre più irritati perché temono di restare invischiat­i in una contrappos­izione sempre più insidiosa. Sabato scorso, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, in conferenza stampa, si è quasi sfogato: «Le teste calde si devono calmare, qui non siamo all’asilo». Gli europei, in particolar­e l’Alto rappresent­ante per la politica estera Ue, Federica Mogherini e il presidente francese Emmanuel Macron si propongono per una mediazione. Ma, al di là delle frasi ufficiali «di apprezzame­nto», risulta che il segretario di Stato, Rex Tillerson, già nel vertice di Londra del 14 settembre scorso, abbia «gentilment­e» chiesto a britannici e francesi di «restare fuori dalla questione nordcorean­a».

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Il leader nordcorean­o Kim Jong-un (a destra) parla con Ri Yong-ho, capo dello staff generale dell’esercito (foto di repertorio)

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