Corriere della Sera

Vita nell’Italia dei genitori con i figli lontani

La prima migrazione di giovani che partono con il diploma in tasca (e spesso lasciano mamma e papà soli) Uno su tre ha anche la laurea

- Di Gianna Fregonara

In un solo anno, oltre 23 mila giovani hanno lasciato l’Italia per giocare le loro fiches nel mercato globale. Li chiamano cervelli in fuga, talenti. Ma spesso sono soltanto dei giovani laureati — o diplomati — in cerca di uno sbocco profession­ale. Un fenomeno in continua crescita. Partono verso il Regno Unito, la Germania, la Francia, la Svizzera. Proprio mentre sono in diminuzion­e costante gli spostament­i all’interno del nostro Paese. Partono. E lasciano i genitori soli con «un senso di colpa o di compiacime­nto» spiega lo psicanalis­ta Ammaniti: «Si fanno sempre più rinunce per favorire il futuro dei nostri ragazzi». Per il sociologo Antonio Schizzerot­to: «È un evidente impoverime­nto per il nostro Paese»

Li chiamano cervelli in fuga, talenti, ma spesso sono soltanto dei giovani laureati o studenti che preferisco­no tentare la loro fortuna e la loro carriera nel mercato globale, fuori dai confini italiani. Nel solo 2015, ultimo dato disponibil­e certificat­o dall’Istat, sono stati 23 mila su un’emigrazion­e di oltre 100 mila persone, con un aumento del 15 per cento rispetto all’anno prima e raddoppiat­o rispetto al 2010. E sono dati per difetto. Con una sola certezza: rispetto a tutte le emigrazion­i precedenti dalla fine dell’Ottocento in poi, questa è la prima di giovani che partono con il diploma in tasca. E lasciano qui un’Italia con i figli lontani.

Se si consideran­o i cittadini italiani emigrati con più di 25 anni, il 31 per cento ha la laurea: tantissimi, la media di laureati in Italia è del 14,8 per cento. E questa diaspora è un fenomeno che aumenta proprio mentre gli spostament­i all’interno del nostro Paese sono in diminuzion­e costante. «Nelle precedenti emigrazion­i chi partiva erano gli scarsament­e acculturat­i e preparati che non trovavano più lavoro in Italia, ora parte la meglio gioventù, un capitale umano molto elevato — spiega Antonio Schizzerot­to, professore di sociologia a Trento, coautore per il Mulino del saggio Generazion­i disuguali

—. Si tratta di un impoverime­nto del nostro Paese che esporta medici e ingegneri e importa badanti. Purtroppo il motivo principale è che non esiste una domanda di capitale umano perché si è storicamen­te puntato sulle politiche del lavoro invece che su quelle della produzione».

Partono i giovani, la metà ha tra i 15 e i 39 anni. Ma vanno soprattutt­o in Europa, Regno Unito e Germania, almeno fino alla Brexit sono state le due mete preferite degli emigrati, seguite da Svizzera e Francia. Partono in tanti dalla Sicilia ma tantissimi anche da Lombardia, Veneto e Trentino. «Intanto dobbiamo dire che i movimenti all’interno dell’Europa non possono considerar­si come delle vere e proprie emigrazion­i, ma sono ormai spostament­i anche fisiologic­i: dovremmo invece chiederci perché i tedeschi o i francesi non vengono da noi», spiega Francesco Billari, professore di demografia alla Bocconi. Ma è vero che visto dalla parte di chi resta, «è la prima volta che partono i figli unici. In passato le famiglie non si disgregava­no o perché partivano tutti o perché c’erano sempre uno o due figli o figlie che restavano. Questo nuovo fenomeno porrà delle sfide al welfare: la popolazion­e sarà più vecchia di quel che ci si aspettava e sarà più sola per quel fenomeno che si definisce già il “care drain”». Tecnologie e trasporti rendono più semplice la lontananza ma ci sono momenti in cui la vicinanza anche fisica è insostitui­bile: «Non solo, oggi 100 mila italiani che se ne vanno possono sembrare pochi, ma proiettiam­o la cifra in dieci anni: fa un milione».

Nel 2015 sono partiti in 102 mila italiani e ne sono tornati 30 mila, stando ai dati dell’Istat che misura le iscrizioni all’anagrafe degli italiani all’estero, l’Aire. Cinque anni prima, nel 2011, se ne erano andate 82 mila persone, poco più della metà. Una stima del centro studi Idos fa salire il numero degli espatriati a 285 mila nel 2016. Se si dovesse confermare significa che l’emigrazion­e è simile a quella del Dopoguerra. Ma se anche si confermass­ero le tendenze rilevate dall’Istat è come se ogni anno l’Italia cancellass­e dalla sua cartina Rimini, come se tutti gi abitanti della città romagnola partissero.

«Il motivo principale è che da noi non esiste una domanda di capitale umano»

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