Addio a Giovanni Russo grande scrittore civile e firma storica del Corriere
È scomparso ieri il giornalista che sapeva raccontare — e spiegare — la società del Sud Scrittore civile, affrontava i grandi temi senza dimenticare le persone. Al «Corriere» fu una delle firme più amate
Un altro mondo, quello di Giovanni Russo, il grande giornalista, lo scrittore che è morto ieri nella sua casa di piazza Grazioli a Roma. Un uomo di speranza, le speranze fallite del dopoguerra. Ancora dopo i novant’anni, non voleva rinunciare a credere che la vita potesse essere migliore, più serena, più giusta. Dal viso triste, come tanti uomini del Sud, diventava d’improvviso ilare, allegro, un ragazzo felice, nonostante i dolori che hanno inquietato la sua vita.
«Il Mondo», il gran giornale di Mario Pannunzio, che creò negli anni Cinquanta-Sessanta del Novecento tanti tra i migliori giornalisti italiani, fu la sua culla. Il suo capolavoro, Baroni e contadini, pubblicato nel 1955, nacque in quelle mura: dopo decenni ha mantenuto intatta tutta la sua freschezza, il suo spirito di verità, la sua grazia poetica.
Giovanni Russo andava a vedere, non si stancava mai, voleva sapere, capire con umiltà e coraggio. Raccontava. Come gli scrittori del Grand Tour di una volta, Norman Douglas, Edward Lear, Richard Keppel Craven. Sapeva spiegare com’era — e spesso com’è ancora — la società meridionale. Con pochi tratti disegnava un carattere, attento a tutto, i paesi, le città, le persone, soprattutto.
Pieno di curiosità com’era, non trascurava nulla, faticava: pare di vederlo in paesi sconosciuti bussare alle porte delle case, curioso, per niente altezzoso, senza mai mollare la presa. Non si stancava mai di parlare, o di cercar di farlo, con tutti, principi, braccianti, guardie, feudatari, mezzadri, ladri, preti, pastori, vecchi, giovani anche allora senza futuro, tra gli Abruzzi, la Basilicata, la Puglia, la Calabria, la Sicilia. Già mezzo secolo fa fece capire che non esiste un solo Sud e che è necessario studiare, comprendere le differenze, i costumi, i bisogni.
È stato, si è detto, uno degli ultimi meridionalisti, con Rocco Scotellaro, Tommaso Fiore. Scrittore civile, figlio di Corrado Alvaro, di Carlo Levi, erede della lezione di De Sanctis, Dorso, Giustino Fortunato, Zanotti Bianco, Giovanni Russo non si dava pace che il Sud oggi sia così dimenticato e diventi di moda soltanto ai tempi delle elezioni.
Una volta la discussione politico-culturale era fervida, le riviste, «Nord e Sud», «Cronache meridionali», tenevano vivo il dibattito contribuendo a fare del Mezzogiorno un problema nazionale. E poi?
Giovanni Russo non demordeva. Ancora quattro anni fa pubblicò un libro, Nella terra estrema. Reportage sulla Calabria, che rende con limpidezza quel che è accaduto in quell’infelice regione. Fino alla fine seguitò a battersi contro il falso meridionalismo, la burocrazia dissennata, le cattedrali nel deserto che hanno
Il capolavoro dello studioso Il suo reportage «Baroni e contadini», pubblicato nel 1955, ha mantenuto nei decenni intatta tutta la freschezza, il suo spirito di verità, la grazia poetica