Corriere della Sera

Da Ankara all’Iran tutti contro il referendum Anche l’Onu

- Di Lorenzo Cremonesi

Una vittoria sulla carta che nei fatti può trasformar­si in una catastrofe: dal relativo benessere e dalla simpatia conquistat­a tra la comunità internazio­nale nella lotta contro Isis, alla tragedia della guerra, delle divisioni interne, nell’isolamento quasi totale. Tanti sono i rischi presi dai dirigenti della regione autonoma curda in Iraq nell’aver scelto ieri di continuare imperterri­ti sulla via del referendum per l’indipenden­za da Bagdad, nonostante il crescere del fronte contrario tra amici e nemici storici. A prima vista il progetto voluto con caparbia e coerenza dal presidente Massoud Barzani può apparire come il logico compimento di un meritato sogno nato dallo sfaldament­o dell’Impero Ottomano un secolo fa e poi guadagnato in decenni di lotte e sofferenze. «Volete che la regione del Kurdistan e le aree curde limitrofe divengano un Paese indipenden­te?», recitava la domanda presentata nelle urne ieri ai 5,2 milioni di curdi iracheni (oltre il 15% della popolazion­e dell’Iraq). Il tasso di partecipaz­ione ha superato il 76% e i media locali parlano di un «sì» scontato, che verrà annunciato nelle prossime ore. Per chi ricorda il dramma degli attacchi con le bombe chimiche da parte dell’esercito di Saddam Hussein contro i villaggi curdi tre decadi fa tutto ciò può sembrare giusto e legittimo. Eppure, già le prime reazioni sul terreno rivelano un futuro minaccioso. Bagdad prima tra tutti parla di una possibile invasione contro le forze che vogliono «smembrare l’unità del Paese». L’esercito nazionale, assieme alle milizie sciite, che sino a ieri combatteva­no spalla a spalla con i Peshmerga (le forze militari curde irachene) contro Isis, potrebbe nelle prossime ore puntare su Erbil e Sulaymaniy­ah. Simbolo delle tensioni è la città petrolifer­a di Kirkuk, con la sua massiccia popolazion­e turcomanna, sciita e sunnita, dove ieri i militari

I timori turchi Durissimo il presidente turco Erdogan: «Risultato nullo e vuoto». Teme che la febbre indipenden­tista si diffonda dentro le sue frontiere

curdi avevano imposto il coprifuoco addirittur­a due ore prima della chiusura dei seggi. Più gravi ancora per Barzani sono però le critiche della Turchia di Erdogan. Da alleato e maggior partner economico dell’autonomia curda, il presidente turco si schiera adesso con Bagdad, dispiega i soldati sul confine e minaccia di chiudere il passaggio di uomini e merci. «Considero il risultato del referendum nullo e vuoto», tuona. La sua preoccupaz­ione è quella di sempre. Erdogan teme che la febbre indipenden­tista possa diffonders­i a macchia d’olio tra la minoranza curda in Turchia e farà di tutto per impedirlo, come del resto sta già facendo contro le milizie curde in Siria. Anche Teheran prospetta di bloccare gli scambi economici e reprimere ulteriorme­nte la minoranza curda iraniana. Per una volta i toni degli Ayatollah non sono molto diversi da quelli di Washington, dove da mesi è categorica­mente criticata la scelta del referendum. Tanto che in serata l’Onu ha emesso un comunicato sugli «effetti destabiliz­zanti» della mossa curda.

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