Ma Shaho ha detto no «Ci manca ogni cosa pure acqua ed elettricità»
«Non hanno votato tutti a favore del referendum, dovete dirlo voi giornalisti». Shaho Mahyaddin è insegnante di scuola elementare da oltre 10 anni. Appartiene a quella schiera di curdi che, da oltre un anno, a causa delle tensioni con Bagdad, si è vista decurtare lo stipendio del 30%. Se l’accordo con la capitale irachena era infatti di scambiare petrolio con denaro, sono un milione e mezzo i dipendenti pubblici che ora si trovano in difficoltà a causa degli screzi tra le due città. «Mancano i servizi di base. In casa non abbiamo elettricità e acqua. E con il mio stipendio faccio fatica a dare da mangiare ai miei figli. Ditemi come si fa a sopravvivere in quattro con meno di 600 dollari al mese?», racconta via Telegram. Shaho, padre di due figlie che sogna di mandare un giorno all’università, vive con la famiglia a nord, a Sulimanyie. Ed è proprio qui che il fronte del no è più forte. «Nemica» di Erbil, più vicina a Teheran e feudo della famiglia rivale del presidente, «Suli» — come viene chiamata affettuosamente dai suoi abitanti — è più vicina all’anziano leader Jalal Talabani che al presidente Massoud Barzani. Il timore, da queste parti, è di far infuriare l’alleato iraniano, con cui i rapporti commerciali sono forti. «Se dovesse vincere il sì, le relazioni con gli alleati peggioreranno e l’economia colerà a picco», continua Shaho. A fare paura non è tanto la reazione di Bagdad quanto quella delle potenze confinanti che potrebbero tagliare le esportazioni verso il Kurdistan, come già minacciato da Ankara. «Importiamo il 90% dei prodotti dall’estero, vorrei proprio sapere come faremmo a sopravvivere se Iran e Turchia dovessero chiudere i cordoni della borsa». Come se non bastassero le preoccupazioni per il futuro, a esacerbare gli animi dei curdi di «Suli» ci sono anche antiche rivalità politiche e di appartenenza tribale. Odi atavici che non si placano nemmeno di fronte alla bandiera dell’indipendenza tanto sognata. «Il presidente Barzani vuole approfittare della debolezza dei suoi rivali, il Puk, l’Unione Patriottica del Kurdistan, e il Gorran, il partito nuovo. Per questo ha indetto il referendum. Vuole rimanere ancora presidente, nonostante sia al potere da oltre dieci anni. Ma per assicurarsi la poltrona ci sta trascinando tutti nel baratro».
Senza Turchia e Iran non possiamo sopravvivere