La democrazia non è un clic, è scritto nella Costituzione
Nulla è scontato quando si parla di diritto costituzionale. Neanche la democraticità della Repubblica italiana. «Nel nostro ordinamento — osserva Sabino Cassese — c’è anche un elemento aristocratico, perché nella nomina di alcune cariche importanti il principio di competenza prevale su quello di rappresentanza. Magistrati, dirigenti della pubblica amministrazione e addetti ai servizi sanitari non sono eletti dal popolo, ma scelti per concorso. Quindi la Repubblica è democratica, ma solo in parte».
Ce n’è abbastanza per animare il dibattito che si terrà domani a Milano (Palazzo Marino, ore 17) sul primo articolo della nostra Carta fondamentale e sul concetto di democrazia. È l’appuntamento con cui esordiscono gli incontri curati dalla casa editrice Laterza nell’ambito dell’iniziativa «Il viaggio della Costituzione», promossa dalla presidenza del Consiglio in dodici città per il settantesimo dei lavori della Costituente. Oltre a Cassese, ex membro della Corte costituzionale, partecipa la storica Simona Colarizi. E conduce Luciano Fontana, direttore del «Corriere della Sera».
«Una delle caratteristiche forti della democrazia italiana — nota Simona Colarizi — è la sua impronta sociale. Le forze politiche largamente maggioritarie alla Costituente erano concordi circa l’esigenza di superare l’impianto dello Stato liberale, quindi misero nell’articolo 1 il richiamo al lavoro per manifestare la volontà di andare oltre la tutela dei diritti individuali e promuovere una maggiore giustizia sociale».
Tuttavia, ricorda Cassese, l’attenzione alle masse non indusse i costituenti a svalutare la democrazia rappresentativa. Tutto l’opposto: «Dire che la sovranità popolare si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, come fa l’articolo 1, significa mostrarsi consapevoli che la democrazia esige un sistema di delega nei confronti di una élite. Quindi nell’articolo 1 troviamo una chiara messa in guardia verso le illusioni della democrazia diretta, magari da gestire in forma elettronica come sostengono i Cinque Stelle. In realtà il momento rappresentativo resta irrinunciabile: non si può pensare che vi sia un canale di trasmissione meccanico tra il corpo elettorale e l’attività legislativa, che il popolo scriva direttamente le leggi in un Paese di 60 milioni di abitanti».
In effetti la Repubblica italiana è stata spesso raffigurata come partitocratica, fondata su un compromesso discutibile. «Sono critiche che non reggono — replica Simona Colarizi — perché in realtà i partiti furono i promotori della democrazia presso cittadini che non erano abituati a esercitare diritti e venivano da vent’anni di regime fascista. Certamente la Costituzione fu il prodotto di un compromesso, ma retrospettivamente possiamo dire che si trattò di un autentico capolavoro, grazie al quale forze molto distanti sotto il profilo ideologico riuscirono a costruire insieme le condizioni di una libera convivenza civile nel rispetto delle regole democratiche».
I partiti operarono per educare alla pratica della libertà cittadini abituati a vivere sotto il fascismo