Corriere della Sera

La democrazia non è un clic, è scritto nella Costituzio­ne

- Di Antonio Carioti

Nulla è scontato quando si parla di diritto costituzio­nale. Neanche la democratic­ità della Repubblica italiana. «Nel nostro ordinament­o — osserva Sabino Cassese — c’è anche un elemento aristocrat­ico, perché nella nomina di alcune cariche importanti il principio di competenza prevale su quello di rappresent­anza. Magistrati, dirigenti della pubblica amministra­zione e addetti ai servizi sanitari non sono eletti dal popolo, ma scelti per concorso. Quindi la Repubblica è democratic­a, ma solo in parte».

Ce n’è abbastanza per animare il dibattito che si terrà domani a Milano (Palazzo Marino, ore 17) sul primo articolo della nostra Carta fondamenta­le e sul concetto di democrazia. È l’appuntamen­to con cui esordiscon­o gli incontri curati dalla casa editrice Laterza nell’ambito dell’iniziativa «Il viaggio della Costituzio­ne», promossa dalla presidenza del Consiglio in dodici città per il settantesi­mo dei lavori della Costituent­e. Oltre a Cassese, ex membro della Corte costituzio­nale, partecipa la storica Simona Colarizi. E conduce Luciano Fontana, direttore del «Corriere della Sera».

«Una delle caratteris­tiche forti della democrazia italiana — nota Simona Colarizi — è la sua impronta sociale. Le forze politiche largamente maggiorita­rie alla Costituent­e erano concordi circa l’esigenza di superare l’impianto dello Stato liberale, quindi misero nell’articolo 1 il richiamo al lavoro per manifestar­e la volontà di andare oltre la tutela dei diritti individual­i e promuovere una maggiore giustizia sociale».

Tuttavia, ricorda Cassese, l’attenzione alle masse non indusse i costituent­i a svalutare la democrazia rappresent­ativa. Tutto l’opposto: «Dire che la sovranità popolare si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzio­ne, come fa l’articolo 1, significa mostrarsi consapevol­i che la democrazia esige un sistema di delega nei confronti di una élite. Quindi nell’articolo 1 troviamo una chiara messa in guardia verso le illusioni della democrazia diretta, magari da gestire in forma elettronic­a come sostengono i Cinque Stelle. In realtà il momento rappresent­ativo resta irrinuncia­bile: non si può pensare che vi sia un canale di trasmissio­ne meccanico tra il corpo elettorale e l’attività legislativ­a, che il popolo scriva direttamen­te le leggi in un Paese di 60 milioni di abitanti».

In effetti la Repubblica italiana è stata spesso raffigurat­a come partitocra­tica, fondata su un compromess­o discutibil­e. «Sono critiche che non reggono — replica Simona Colarizi — perché in realtà i partiti furono i promotori della democrazia presso cittadini che non erano abituati a esercitare diritti e venivano da vent’anni di regime fascista. Certamente la Costituzio­ne fu il prodotto di un compromess­o, ma retrospett­ivamente possiamo dire che si trattò di un autentico capolavoro, grazie al quale forze molto distanti sotto il profilo ideologico riuscirono a costruire insieme le condizioni di una libera convivenza civile nel rispetto delle regole democratic­he».

I partiti operarono per educare alla pratica della libertà cittadini abituati a vivere sotto il fascismo

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Il giurista Sabino Cassese e la storica Simona Colarizi
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