COSTRUZIONE DI UN VALORE
Fino a a venerdì, a Bologna, il Cersaie. Al Salone c’è anche uno dei maggiori protagonisti dei progetti fondati sul riutilizzo dei materiali. Che qui spiega perché ha deciso di esportare la lezione (etica) delle sue radici burkinabé «NEL MIO PAESE HO IMPA
L’arte del risparmio e della condivisione delle poche materie prime a disposizione l’architetto burkinabé Diébédo Francis Kéré (tra gli ospiti di Cersaie 2017) l’ha imparata prestissimo, nel villaggio senza acqua potabile di Gando. Quando percorreva ogni giorno venti chilometri per raggiungere la scuola più vicina, il figlio di uno dei membri più rappresentativi della sua tribù — «mio padre coltivava granturco però era un visionario, volle a tutti i costi farmi studiare contro il parere del nostro clan familiare che non voleva io andassi a lezione da quei bianchi che non erano certo stati rispettosi dell’Africa» —, non poteva immaginare che sarebbe diventato membro del Royal Institute of British Architects, dell’American Institute of Architects, che avrebbe insegnato alla Harvard Graduate School of Design ed esposto i suoi modelli e fotografie al MoMa di New York.
Però già intuiva quei principi che poi sarebbero diventati anche i pilastri portanti della sua architettura inclusiva, sociale, fondata sul recupero, riciclo dei materiali tradizionali riutilizzati sulla base delle tecniche e tecnologie costruttive più innovative e contemporanee. «Se cresci povero, impari subito a salvare le cose, a non sprecare — racconta l’architetto 52enne durante una pausa di una sua lezione all’Università di Mendrisio, in Svizzera —, comprendi l’importanza di condividere quel poco che la natura ti mette a disposizione con gli altri che si trovano nelle tue stesse condizioni e di come il pianeta Terra vada tutelato. In Burkina Faso la popolazione cresce in modo così drammatico ed evidente che per dare un tetto a tutti è necessario salvare ogni materiamai le. La maggior parte delle persone, inoltre, va il più possibile coinvolta nella costruzione di edifici, insegnando loro che possono usare quello che hanno con modalità diverse. Il riuso possiede anche una forte valenza spirituale: io cerco di trasmettere alla popolazione locale una nuova idea, li rendo parte attiva del progetto. Un edificio non deve essere un dono, bensì una trasmissione di conoscenza».
Il primo che Kéré ha eretto, dopo la borsa di studio che gli ha permesso di studiare alla Technische Universität di Ber- lino (prima aveva lavorato anche come carpentiere), è stata la scuola elementare proprio di Gando, quella che non esisteva quando lui era bambino, seguita da un giardino per gli alunni e gli alloggi per i docenti, mentre stanno per essere ultimati la biblioteca e il centro di aggregazione per le donne. Ha progettato anche la scuola secondaria di Dano, si è occupato del rinnovamento del Parco nazionale di Bamako e il Centro per l’architettura in terra a Mopti, in Mali.
«Mi sembrò giusto cominciare dal luogo natio per restituire quello che avevo ricevuto e per sperimentare l’impiego di tecniche tradizionali in un modo nuovo, ad esempio scavando in profondità la laterite per ricavare materiale col quale creare nuovi mattoni — prosegue il vincitore del Global Award for Sustainable Architecture —, oppure per i rami degli alberi affusolati per realizzare le facciate. Altrove ho impiegato il cemento dentro vasi di terracotta allo scopo di creare i fori per far entrare luce e aria, e ancora insieme all’argilla per rendere impermeabile una struttura: non bisogna dimenticare, quando si costruisce, la climatologia di quella data zona. Risparmiare materiali e denaro non deve andare a scapito, infatti, della sicurezza e della resistenza alle intemperie».
La modularità è un’altra delle chiavi che Kéré utilizza per scardinare la carenza di alloggi in Africa, come testimonia L’Opera Village di Laongo, in cui l’architetto disegna spazi, anche minuscoli, ma funzionali e flessibili nei quali ciascun abitante possa sentirsi protetto. «Io spiego sempre che un muro non è un semplice muro, bensì può avere molteplici utilizzi e riutilizzi. E questo concetto vale anche per il mondo occidentale dove bisogna far passare l’idea che l’architettura consiste nel dare opportunità e scendere ad accordi con la natura circostante. Io intendo ogni costruzione come un luogo di incontro».
Così ha concepito anche l’installazione, visibile sino al prossimo 8 ottobre, al Serpentine Pavillion a Londra, una costruzione a forma di albero tra gli alberi di Hyde Park che richiama le piante intorno al quale si riuniscono anziani e giovani nei villaggi di tutta l’Africa.
Un edificio non deve essere un dono, bensì una trasmissione di conoscenza