Corriere della Sera

La guerra tra gli ultimi alle porte di Roma

Italiani contro nomadi: sassi, barricate e feriti. Viaggio nel degrado di Guidonia

- Di Goffredo Buccini

La guerra tra ultimi e ultimissim­i della società si combatte ogni giorno, a Guidonia. Dove i nomadi di quattro campi abusivi si detestano tra loro, odiati dai vecchi residenti; e dove molti anziani arrotondan­o la pensione accettando di nascondere droga in casa.

La nonnina dice soave: «Bruciamoli tutti». Tutti, tutti? «Sì, sì, anche i bambini, tanto dopo diventano come i grandi: zingari schifosi». Poi si segna devota davanti al tabernacol­o della Madonna della pace, qui nel piazzale. Borsa della spesa sottobracc­io e capelli a caschetto tinti di nero smodato, fila via a passettini spaventati, ingoiata tra i mattoni rossi delle case popolari di via Albuccione dove alle tre del pomeriggio cocaina e marijuana sono già padrone dei cortili. E ci lascia a chiederci perché: non perché sia successo che rom e residenti si siano quasi scannati l’altra notte per una bravata, no; la domanda giusta è come mai non succeda ogni notte.

Insomma: prendete una borgata venti chilometri a est di Roma, alla periferia di Guidonia, dove nel 1970 hanno tirato su casermoni di edilizia economica e trasferito gli ultimi di allora (e «dove la gente moriva per rincorrere l’autobus, arrotata dalle macchine sulla Tiburtina qui accanto, finché non hanno messo la rotonda»); aggiungete­ci l’abbandono delle campagne, la chiusura dei cantieri edili, lo spaccio, zero servizi, zero circoli, zero attività sociali; metteteci poi i nomadi di quattro campi abusivi, di nazionalit­à diverse, che si detestano anche tra loro, ai quali è stato concesso di arrangiars­i qui, in mezzo ai vecchi orti, nei terreni che si dice siano paradossal­mente proprietà della Asl e che sono diventati discariche, tra fumi e fiammate notturne e veleni e topi e cani randagi. L’ultima molla a cui pensare è il razzismo. Tutte le altre motivazion­i per farsi del male, in questa bolgia di uomini e no, sono ovviamente ben più plausibili.

«Così l’altra notte è scesa tutta Albuccione pe’ strada», dice Vale, tatuatissi­mo sotto la canotta: «C’era pure mi’ madre: gli avemo tirato de tutto agli zingari, loro ci hanno pure sparato». Via Albuccione, col suo asfalto sgarrupato, che muore in un parco sottratto ai bambini prima dalle siringhe e poi dalla spazzatura incancreni­ta, reca ancora i segni della battaglia, i sacchi di pietre. Questa è la linea di confine. Di là, dove i primi residenti coltivavan­o pomodori e lattuga quando c’era ancora il futuro d’una volta, un viottolo attraversa ora colline di lamiere, escrementi, plastica: e le comunità nomadi sbattute quaggiù da Tivoli o da Roma in eterna attesa di una sistemazio­ne La zona I palazzi e le barricate di sacchi e sassi dove sono avvenuti gli scontri hanno recintato pezzetti di queste colline e si guardano in cagnesco. Ilma, montenegri­na, tre figli piccoli attaccati alle gonne e intossicat­i dai miasmi, ce l’ha a morte «con quelli su all’incrocio, bosniaci. Sono loro che fanno casino». Rimpiange il centro d’accoglienz­a di Tor Cervara: «Ci stavamo benissimo. Poi ci hanno messo gli africani, mannaggia a loro, e noi ci hanno sbattuti qua!». All’inferno, si sa, ci sono sempre ultimi in arrivo che ti spingono più in basso. I bosniaci all’angolo stanno asserragli­ati dietro una reticolato verde da cui s’affaccia una donna: «I bambini so’ scappati, lasciateci in pace», biascica. Gli abusivi Il campo rom a ridosso dei palazzi a Guidonia Da questo recinto, martedì sera, sono partiti un furgone rosso e una Fiesta rubata che hanno cominciato un folle raid alcolico a zigzag tra la gente: poteva essere un massacro, è finita con un arresto, qualche ferito lieve, due baracche bruciate, una rabbia che cova e può riesploder­e appena carabinier­i e polizia spariranno di nuovo: «Abbiamo solo incomincia­to», ringhiano qui.

Questa storia dura da sei o sette anni, è peggiorata quando hanno portato i nomadi di Tivoli Terme, sgomberati dal vecchio polverific­io Stacchini. Hanno fatto pure un corteo, un anno fa: poca gente. «Sai, se manifesti contro i rom devi manifestar­e pure contro gli spacciator­i, ma quasi tutti hanno in casa uno spacciator­e...», sussurra uno dei primi residenti, coscienza critica della borgata («metà degli amici miei so’ morti d’eroina»). Qui vengono da Tivoli e Guidonia a comprare la roba, molti vecchietti arrotondan­o la pensione accettando di nasconderl­a in casa in cambio di 700, 800 euro al mese. I ragazzotti si accendono un cannone davanti ai cronisti, uno di loro ammette: «Fatti i conti co’ gli zingari dobbiamo farli tra noi, c’è troppo spaccio».

Qui le divise sono invocate contro i nomadi ma maledette altrimenti. La subcultura sulle «guardie» è radicata, e sanguina ancora il ricordo di Lele Taormina, il giovane rapinatore ammazzato nel Parco degli Aromi da un poliziotto. «Lele era un fratello nostro e s’era arreso», ti ripetono tutti, credendoci a forza di ripeterlo. Una volta c’erano sezioni del Pci e del Psi proprio qui accanto, dove adesso hanno chiuso i negozi facendoci bassi abusivi peggio che nella Napoli dei peggiori stereotipi («stamo a diventa’ napoletani» è un insulto grave nei paraggi): l’idea che tutti fossero vittime, da una parte e dall’altra della strada, sarebbe apparsa meno assurda. Oggi c’è un gruppo, «Orgoglio Albuccione», che prova a organizzar­e la borgata contro i rom. Conta molto sul nuovo sindaco di Guidonia, il grillino Michel Barbet, che ha promesso sgomberi. «Viene qui, cammina in mezzo a noi, prima il Pdl non ci rispondeva nemmeno», dicono gli attivisti di «Orgoglio» assai tiepidi quando è di recente riapparso Alemanno. La prima spedizione, oltre il confine, l’hanno fatta le mamme, quando uno dei loro ragazzi è stato rapinato «per due euro» davanti al tabaccaio. Era tre settimane fa, è finita con una tregua. Ora la tregua è rotta. Mentre parliamo, la Volvo di un rom passa e sgomma. Lo inseguono strillando «al rogo, al rogo!». Gli ultimi delle nostre metropoli hanno capito che per costringer­e lo Stato a occuparsi di loro devono prendere a sassate gli ultimissim­i: possibilme­nte in favore di telecamera.

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