«Un acconto di appena 1.200 su lavori totali per 44 mila»
Non esiste soltanto un’amplissima platea di creditori diretti che soffre i ritardi dei pagamenti della Pubblica amministrazione. C’è anche un indotto che arranca ma non vorrebbe gettare la spugna. È il caso di Ermes Furgieri, 69 anni, titolare a Moglia (Mantova) di una ditta di falegnameria per l’edilizia. Cosa le sta succedendo? «Fornisco infissi a un’impresa che lavora con la Pa che, non prendendo soldi, non mi paga». Di che cifre parliamo? «Per un lavoro finito il 30 giugno scorso, ho ricevuto un acconto di circa 1.200 euro su 44 mila euro di lavori. Ma io ho anche i miei fornitori da pagare».
Di solito con che tempi riesce a venire liquidato?
«Se tutto fila liscio, sono 7-8 mesi. Intanto però la canonica della Chiesa che abbiamo ristrutturato è stata inaugurata». Che vuol dire “se tutto fila liscio”? «Che se un contenzioso s’inserisce nella procedura, la blocca, e i tempi si allungano ulteriormente». Come si arrangia? «Ho chiesto aiuto alla Cgia di Mestre. Se lo Stato mi chiede di pagare regolarmente contributi, tasse e stipendi, l’ultima possibilità sono le banche. Ma c’è un limite». E allora? «Per uno-due giorni alla settimana mi metto in giro e vado a ritirare gli altri crediti...».
Ma la fatturazione elettronica non ha migliorato la situazione?
«Non parrebbe: sento tutti lamentarsi per aggravi della burocrazia».
Però lei insiste a rifornire chi lavora con la Pubblica amministrazione.
«In giro con la crisi dell’edilizia non c’è molto altro. Mi sono inserito nel filone dei lavori post-terremoto. Altrimenti staremmo a zero».
Per quanto pensa di poter resistere?
«Intanto abbiamo dovuto già rinunciare a fare i produttori di infissi e ci limitiamo a montarli. Vedremo».
Vorrebbe passare la mano a suo figlio?
«Mio figlio se ne è andato all’estero: lì pagano. In alcuni Paesi al di sopra di una certa soglia di lavori c’è la fidejussione della banca che paga se il committente non lo fa. Non ho capito perché da noi non si può fare così».