Corriere della Sera

Il leader parla ai laburisti britannici da premier in pectore e sfida Theresa May: si faccia da parte

- L. Ip.

DAL NOSTRO INVIATO

Un congresso di partito? Pare di assistere a un’adunata messianica, un’assemblea di fedeli in attesa dell’Eletto. La musica martella le orecchie e quando lui finalmente appare sul palco, parte il coro: «Oooh, Je-re-my Cooor-byn!». Il canto tribale va avanti per minuti, con il leader laburista che non riesce neppure a cominciare il discorso.

Alla fine, a fatica, la folla si placa e ripone sciarpe, bandiere e striscioni. Solo allora Corbyn può prendere la parola: e lo fa per proclamare che il partito laburista «è ormai sulla soglia del potere» e che la sua squadra è «il governo in pectore della Gran Bretagna».

Tutti i sondaggi gli danno ragione e la scorsa settimana anche l’Economist lo ha messo in copertina sulla soglia di Downing Street: con la mitica porta al numero 10 dipinta di rosso.

Corbyn è arrivato al congresso con un partito ormai unito (o in qualche caso rassegnato) dietro di lui. E con il vento favorevole che gli gonfia le vele, si permette di irridere gli avversari più che attaccarli: quei conservato­ri «aggrappati al potere» che se non si danno una scossa «si tirino da parte». Quindi la sfida diretta a Theresa May: «Faccia un’altra passeggiat­a in vacanza e prenda un’altra decisione improvvisa». Cioè, chiami il Paese a nuove elezioni, perché «il mio governo ombra è pronto a prenderne il posto».

Poi Corbyn assesta una lezione al New Labour di Tony Blair, i cui scampoli ancora si rodono a vedere il loro partito guidato da quello che per decenni è stato il più estremista fra i parlamenta­ri: «Ci hanno sempre detto che le elezioni si vincono al centro — chiosa Corbyn — e non è sbagliato. Solo che il centro di gravità della politica si è spostato e siamo noi oggi il mainstream», la corrente maggiorita­ria.

La ragione di questo spostament­o a sinistra, nell’analisi del leader laburista, sta nelle conseguenz­e della crisi finanziari­a del 2008: «Finalmente ora la politica si sta mettendo al passo», proclamand­o la fine di «quel modello fallito, forgiato da Margaret Thatcher».

Una parte del discorso è dedicata alla Brexit, una «questione vitale» sulla quale i conservato­ri «si stanno giocando gli interessi della nazione». E la platea scatta in piedi in un lungo applauso quando Corbyn proclama che «i tre milioni di europei che vivono tra noi conservato­ri di destra. Quello che è accaduto in Europa è comunque dovuto al fallimento di personaggi come Hollande o Blair: la socialdemo­crazia si è legata agli interessi del grande business. Abbiamo bisogno di programmi sociali più radicali: solo allora la gente sosterrà la sinistra».

Dunque secondo lei la crescita dei movimenti populisti di destra è imputabile al fallimento della socialdemo­crazia?

«Assolutame­nte sì: guardiamo Star sul palco Jeremy Corbyn saluta la stampa e i supporter al congresso annuale laburista che si è tenuto a Brighton (Foto Afp) sono i benvenuti» e che il governo laburista «darà loro piene garanzie».

Ma il leader non scioglie le contraddiz­ioni del partito sull’Europa. Durante la tre giorni congressua­le si è evitato di mettere ai voti una mozione che chiedeva la permanenza nel mercato unico, perché si rischiava di spaccare l’assemblea. Corbyn assicura che si impegnerà per mantenere al massimo i benefici del mercato comune, ma dice che rispetterà i risultati del referendum e userà i poteri rimpatriat­i da Bruxelles «per promuovere una strategia industrial­e in Gran Bretagna», dunque svincolata dalle regole europee sugli aiuti di Stato.

La conclusion­e è però univoca: «Dobbiamo essere pronti a governare». E l’assemblea si scioglie cantando a squarciago­la «Power to the people», potere al popolo.

a cosa era accaduto in Germania prima della guerra, dove il fallimento della socialdemo­crazia aprì la strada al fascismo».

Ma nel voto per la Brexit c’era anche il risentimen­to verso gli immigrati.

«La gente è in realtà preoccupat­a per il lavoro, la casa, la sanità, le scuole: non c’è un’impennata del razzismo. Certo, alla gente non piace se qualcuno viene a fare il loro lavoro per una paga inferiore, è inevitabil­e. Corbyn insisterà che tutti siano pagati allo stesso modo, così che gli immigrati non danneggino i lavoratori. In questo modo rimuovi le cause del risentimen­to».

E di Corbyn come persona cosa dice?

«È un amico, lo conosco da molti anni: è una persona normale, non accecata dal suo ego. Uno con cui prendere una tazza di tè. Per questo ispira affetto tra la gente comune».

E soprattutt­o fra i giovani.

«Certo, perché sono disgustati sia dai conservato­rie che dal vecchio Labour di Blair».

Accettereb­be di fare il ministro della Cultura in un governo laburista?

«Ma no, c’è bisogno di qualcuno più giovane, io sono solo un militante di base...».

E qual è allora il ruolo di un intellettu­ale come lei?

Lo conosco da anni, non è accecato dal suo ego

«Il ruolo di persone come me è di richiamare il Labour ai principi. Si possono fare aggiustame­nti tattici, ma questi sono i principi a cui bisogna aderire. Questo è il ruolo di noi intellettu­ali: e anche di voi giornalist­i».

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