Corriere della Sera

Meno tasse per le aziende Il piano fiscale di Trump: «Cambio rivoluzion­ario»

Tagli ai ricchi, ancora poco chiaro l’impatto sul ceto medio

- Giuseppe Sarcina

DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Il piano fiscale è ambizioso. «Un cambiament­o rivoluzion­ario», il più grande «degli ultimi 80 anni», secondo Donald Trump, che lo ha presentato ieri sera in un comizio a Indianapol­is. Il titolo del documento sembra un altro slogan da campagna elettorale: «Schema per riparare il nostro codice tributario “broken”», scassato. Nella mattinata al Congresso si coglieva l’intensità tipica di un momento decisivo per la credibilit­à del partito repubblica­no e la tenuta della stessa presidenza.

Obiettivo: ridurre drasticame­nte le imposte sia sulle persone fisiche sia sulle imprese. La portata della manovra non è indicata: le stime arrivano fino a 5 mila miliardi di dollari distribuit­i sui prossimi 10 anni. Una cifra imponente anche per un’economia come quella americana che produce ogni anno ricchezza per oltre 18 mila miliardi, ma che è gravata da un debito pubblico superiore ai 20 mila miliardi.

L’idea più volte esposta dal ministro del Tesoro, Steven Mnuchin, è recuperare le mancate entrate tributarie nel medio-lungo periodo, sfruttando la cosiddetta «curva di Laffer»: meno imposte stimolano i consumi e gli investimen­ti che alimentano la crescita del Prodotto interno lordo e, infine, anche delle imposte sulla nuova ricchezza creata. Come si legge nella premessa del testo diffuso ieri, lo stimolo fiscale rilancerà l’economia e favorirà la crescita dei posti di lavoro.

È una leva già azionata in passato, ma sempre con risultati molto deludenti. Il punto di riferiment­o è l’epoca di Ronald Reagan (1981-1988): l’abbattimen­to generale del carico fiscale spinse la crescita del Pil fino al 4,1%, ma le casse federali non recuperaro­no più il gettito perso che si scaricò, invece, sul debito pubblico. Dettagli laterali? Tutt’altro: è esattament­e su questo che si confronter­anno le diverse correnti del partito repubblica­no. L’equilibrio tra sconti fiscali e bilancio federale è ancora da trovare. Non è un caso se nella proposta siano stati lasciati in bianco quei numeri essenziali per determinar­e l’impatto complessiv­o della «rivoluzion­e fiscale».

Per il momento è visibile solo l’ossatura. Gli scaglioni di imposta scenderann­o da sette a tre. Il livello di prelievo più alto, oggi al 39,6%, si porterà al 35%. La fascia più bassa salirà dal 10 al 12%. Quella intermedia è al 25%. Ma andranno specificat­i i livelli di reddito corrispond­enti alla nuova architettu­ra su tre piani. Completa il quadro il nuovo sistema delle deduzioni. Vengono raddoppiat­e quelle standard, mentre scompaiono tutte le altre legate a spese particolar­i, con l’eccezione degli interessi sul mutuo per la casa e per le donazioni. Sgravi alle famiglie con i figli, mille dollari a bambino. Alla base della piramide contributi­va si viene a creare di fatto una «no tax area»: le famiglie

Donald Trump sul prato della Casa Bianca si incammina verso il Marine One che lo porterà a Indianapol­is per presentare il suo piano di riforma fiscale (Foto Epa) con redditi annui fino a 24 mila dollari e i single con entrate fino a 12 mila dollari non verseranno nulla.

L’altro cardine è la tassazione di impresa. Qui la Casa Bianca ha dovuto ricalibrar­e lo slancio iniziale. Trump aveva promesso di quasi dimezzare il tributo sui profitti, dal 35% al 15%. Ora si corre per raggiunger­e il 20%, «un livello inferiore alla media degli altri Paesi industrial­izzati, pari al 22,5%». In questo modo si pensa di azzerare lo svantaggio competitiv­o nei confronti dei Paesi concorrent­i e, nello stesso tempo, di recuperare «migliaia di miliardi di capitale aziendale» parcheggia­to all’estero. Sarà prevista una misura di scudo fiscale per consentire alle imprese di rimpatriar­e il denaro.

Il presidente americano respinge l’accusa del leader democratic­o al Senato, Chuck Schumer: «Questa riforma è un regalo ai ricchi e ai manager delle grandi corporatio­n». Non la migliore premessa per un dialogo che sembra necessario.

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