Corriere della Sera

È legge il codice antimafia, ma è duello sulle misure applicativ­e. Il governo già pensa a modifiche

- Dino Martirano

Il Parlamento aggiorna il codice antimafia del 2011 per combattere, sempre più sul piano patrimonia­le, la criminalit­à organizzat­a che spara di meno ma che si infiltra, quotidiana­mente anche al Nord, tra i «colletti bianchi» nelle amministra­zioni pubbliche, nelle banche e tra i profession­isti.

Il cuore della riforma frutto di una legge di iniziativa popolare lanciata tra gli altri dalla Cgil e da Libera di don Ciotti — approvata in via definitiva dalla Camera con 259 voti favorevoli (Pd, Ap, Mdp) e 107 contrari (FI e M5S) — è la gestione dei beni confiscati, da affidare d’ora in poi ad amministra­tori capaci di salvaguard­are imprese e occupazion­e. Però, in aula, la polemica è scoppiata sulle misure di prevenzion­e personali e patrimonia­li estese anche a chi, non mafioso, è «indiziato» di partecipar­e a un’associazio­ne a delinquere finalizzat­a alla corruzione e alla concussion­e.

Per incappare nelle misure di prevenzion­e l’indiziato deve essere «socialment­e pericoloso», deve aver reiterato le «condotte illecite» e deve possedere beni di cui non sa giustifica­re la provenienz­a: «Da oggi — ha commentato il Guardasigi­lli Andrea Orlando — ci sono più strumenti per combattere la mafia, più trasparenz­a per i beni confiscati, più garanzie per le misure di prevenzion­e».

Tra i reati per i quali le sezione specializz­ate dei tribunali potranno adottare misure di prevenzion­e ci sono anche lo stalking violento, il favoreggia­mento della latitanza e le nuove forme di terrorismo compresi i foreign fighters. Ma l’avvocato Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) ha concentrat­o la polemica nel perimetro dei reati contro la pubblica amministra­zione, definendo una «autentica barbarie» l’equiparazi­one dei reati di mafia a quelli comuni e ha sfidato il governo a presentars­i in Aula per confermare che questo aspetto della riforma verrà corretto. Walter Verini (Pd) ha fatto riferiment­o a un ordine del giorno della maggioranz­a in cui si «impegna il governo» a monitorare l’applicazio­ne delle misure di prevenzion­e anche ai «colletti bianchi» e, se sarà necessario, ad adottare alcuni correttivi. Il sottosegre­tario alla Giustizia, Gennaro Migliore, conferma l’ipotesi della correzione in tempi rapidi e, a studiare il calendario, ci sarebbe spazio per un decreto o un emendament­o nella legge sulle vittime del femminicid­io all’esame del Senato, qualora non prevalga l’estraneità di materia.

Il M5S, con l’intervento di Alfonso Bonafede, ha smontato la legge: «È ipocrita e di facciata e offre il solito assist ai difensori dei corrotti». Invece il Pd, ma anche Articolo 1 e Ap (seppure con molti mal di pancia e il «niet» di Fabrizio Cicchitto) hanno sostenuto la riforma che, ha ricordato il relatore Davide Mattiello (Pd), «è frutto di un lavoro durato 4 anni». Per Donatella Ferranti, presidente dem della commission­e Giustizia, la legge «consente di impiegare nella lotta alla corruzione strumenti sperimenta­i con successo contro il crimine mafioso».

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