Eni-Algeria, In Tribunale ritratta il teste dell’accusa
Come teste dell’accusa, mica male: poche volte si è vista in Tribunale una marcia indietro così radicale rispetto agli interrogatori e all’incidente probatorio. Nel processo per i 197 milioni di «mediazioni» contestate a Saipem come tangenti nel 2007-2010 a quel Farid Bedjaoui assai vicino all’allora ministro dell’Energia algerino, l’ex direttore generale Saipem, Pietro Varone, che almeno 2 milioni di Bedjaoui si era ritagliato, e che è accusato di corruzione internazionale (tra gli altri) anche con l’ex n.1 Eni Scaroni e con la società, ritratta tutto: sull’Eni (che in passato aveva chiesto invano ai pm di incriminare Varone per appropriazione indebita), su manager Eni come il coimputato Vella, sulle asserite rassicurazioni del non indagato allora capo dell’ufficio legale Mantovani. E le opposte dichiarazioni precedenti? Varone sostiene di averle rese solo per uscire dal carcere e pressato (arriva a dire) dai due ex avvocati, a suo dire patroni più della Procura che suoi. Il pm Isidoro Palma gli ricorda l’intercettazione dell’ex moglie, che a un uomo riferiva come Varone le avesse chiesto di fare sparire di corsa una valigia di documenti (poi «seguita» e sequestrata), ma Varone impassibile dice di saperne nulla, così come non sa perché vi fossero i biglietti di due fiduciari svizzeri di Bedjaoui. E persino quando il pm gli chiede chi sia il proprietario della società di gas e petrolio per la quale lavora ora a Dubai, Varone risponde: «Un inglese». Ma ce l’avrà un nome, questo inglese? «Non lo so».