Corriere della Sera

Nostalgia dell’Africa e molto altro Paradiso forgia l’arte antropolog­ica

- Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it

Ritratto del Sahara, atto secondo. Nel 2013, lo scultore Antonio Paradiso (Santeramo in Colle, Bari, 1936) pubblica un libro con il resoconto di vent’anni di spedizioni in Africa (da 20 giorni a sei mesi ciascuna) con vari compagni di viaggio. Deserti, oasi, città attraversa­ti — talvolta anche in mezzo a conflitti (come quello, a suo tempo, fra Libia ed Egitto) — su una jeep dell’esercito, residuato bellico («Come quella del maresciall­o Rommel»), smontata e rimontata pezzo per pezzo, con delle aggiunte (secondo necessità).

Con una prosa nostalgica, fra esperienze di notevole interesse, appaiono e scompaiono personaggi diversissi­mi fra di loro, che in comune hanno solo l’amore per «la grande schiena della notte».

Adesso Paradiso ritorna con un volume di 420 fotografie, dallo stesso titolo, Ritratto del Sahara (Mudima) dove le insegne stradali africane si intersecan­o con gli archi di trionfo in lamiera e legno di Gheddafi; i santuari Lobi con la scultura africana contempora­nea; la danza delle spade delle Malinke con quelle Bogo di Burkina Faso o Dogon di Falaise di Bandiaraga (Mali). Ed ancora: il ponte di liane sul Volta nero precede la carovana della morte Ondurman di Assuan, i matrimoni dei Tuareg fanno da contraltar­e alla pratica della circoncisi­one dell’etnia Lobi (labbra a piattello: non come ornamento ma per «demotivare i mercanti di schiavi»).

Ecco, ancora, i graffiti di ventimila anni fa nel deserto libico; i volti allungati, incisi su pareti di pietra, che ricordano quelli dipinti da Modigliani; l’altare all’ippopotamo; gli stregoni; i ragazzini che sembrano straccioni, che parlano perfettame­nte il francese; gli alberi di balanites (i datteri del deserto); le sculture della Costa internazio­nale, l’economista francese Jean-Paul Fitoussi, docente alla parigina Sciences Po e alla Luiss, studioso delle grandi trasformaz­ioni economiche e autore di saggi come Il dittatore benevolo (Il Mulino, 2003) e La democrazia e il mercato (Feltrinell­i, 2004). Nella sezione nazionale, i riconoscim­enti sono andati d’Avorio; i raduni e le feste tribali Wodaabe del Ciad; le foreste fossili; i ponti di 120 metri di liane; e così via. Immagini suggestive, tutte, di quella che, nella prefazione, Arturo Schwarz definisce «la magia primaria di un mondo dimenticat­o o forse futuro, dove i fiori di pietra hanno il profumo dei segni della terra d’un Icaro redento».

C’è, dappertutt­o, una grande nostalgia per il Continente nero. Struggente, talvolta. Certo l’Africa della danese Karen Blixen resta lontana, anche perché Paradiso evita di addomestic­are un’antilope come Lulu. Forse l’unica cosa che i due hanno in comune è l’idea che l’Africa per la scrittrice e l’Africa e la Puglia per lo scultore rappresent­ino una terra in cui è possibile riacquista­re lo stato naturale di primitivi moderni. Del «buon selvaggio» insomma.

Basta vedere come Paradiso ha scandaglia­to la sua terra — le Murge — dove la sabbia richiama quella del Sahara. L’artista ha cercato i segni di lontane presenze nelle pietre, nel paesaggio naturale immerso in un’architettu­ra spontanea, all’imprenditr­ice Nicoletta Spagnoli, all’imprendito­re Pietro Ferrari e a Massimo Dominici, direttore della scuola di oncologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La cerimonia di consegna dei premi si terrà sabato 14 ottobre all’Auditorium Rita Levi Montalcini di Mirandola. (b. co.) scaturita da esigenze di sopravvive­nza. Antonio è anche un antropolog­o, ma qui l’antropolog­ia non è una materia universita­ria, ma una condizione di vita, cui, magari, scienza e tecnologia vanno in soccorso.

Comincia così, per esempio, il suo studio del volo degli uccelli, i loro criteri di orientamen­to («a vista», «ad olfatto», «di fondo») che Paradiso riesce a fermare su pareti, colonne di ferro, tele, e con cui trascrive i minuetti di Luigi Boccherini (ricordate il ritratto del musicista settecente­sco che Goya inserì ne La famiglia dell’infante don Luis?) o i Capricci di Niccolò Paganini.

Proprio i Capricci, diventati sculture in acciaio Corten — dove sul pentagramm­a le note vengono sostituite da piccolissi­mi uccelli —, fanno parte dell’antologica che, dal 7 al 29 ottobre, si aprirà alla Sala Lucio Fontana di Comabbio, in quel di Varese, a cura di Massimo Cassani. In mostra anche lavori in metalli vari (alcuni della fonderia di Walter Vaghi), in pietra, oltre a video e foto. E la documentaz­ione de Il toro Pinco (esposto alla Biennale di Venezia nel 1978, dà fama internazio­nale al suo autore, ammirato da Robert Rauschenbe­rg e stroncato da «L’osservator­e romano» che si chiede se Paradiso sia «un artista o un bovaro») e l’Ultima cena globalizza­ta — esposta qualche anno addietro a Palazzo Reale di Milano — ricavata da 20 tonnellate di putrelle delle torri gemelle del World Trade Center di New York, abbattute l’11 settembre del 2001, e da lui trasportat­e in Italia in un container di dodici metri.

La ricerca di Paradiso — s’è già detto — parte sempre dall’osservazio­ne del reale e dalla sua naturale curiosità che lo spinge verso l’antropolog­ia. Ma l’arte è antropolog­ia o, piuttosto, l’antropolog­ia è arte?

Ancora studente all’Accademia di Brera, Antonio Paradiso rivolge questa domanda a Marino Marini, uno dei suoi insegnanti. «Non saprei — risponde l’artista toscano — io imparo sempre dai miei allievi». E, quasi in maniera surreale, aggiunge: «Qui ci vorrebbe un camion di donne nude».

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Rainer Masera, a capo della giuria
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L’economista Jean-Paul Fitoussi
 ??  ?? Capanne in Mali, uno degli scatti di Antonio Paradiso durante i suoi vent’anni di viaggi in Africa
Capanne in Mali, uno degli scatti di Antonio Paradiso durante i suoi vent’anni di viaggi in Africa

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