Corriere della Sera

LA SFIDA DEL TEMPO

Da domani a Milano torna «A Seminar la Buona Pianta». Tra gli ospiti, lo scrittore Amitav Ghosh. Che qui (in esclusiva) lancia l’allarme sui disastri ambientali: solo il Papa e pochi altri hanno colto la reale portata del pericolo OGGI IL FUTURO DIPENDE D

- Traduzione di Rita Baldassarr­e di Amitav Ghosh

L’anno 2017 ci ha già consegnato una lunghissim­a e drammatica lista di disastri ambientali: siccità prolungate in molte parti del mondo; alluvioni devastanti in India; incendi furibondi sulla costa occidental­e dell’America del Nord, in Europa meridional­e e persino in Groenlandi­a; bombe d’acqua spaventose come quelle che hanno traumatizz­ato Mumbai e Livorno a settembre; e per di più, tre uragani successivi che hanno polverizza­to tutti i record precedenti per la loro forza devastante: Harvey, Irma e Maria.

Certo, non è sempre possibile decifrare se tutti questi eventi portano il marchio dei cambiament­i climatici generati dall’attività umana, eppure i danni che essi infliggono sono talmente enormi, e le immagini, subito trasmesse nel mondo, appaiono talmente sconvolgen­ti che il minimo sospetto di un simile collegamen­to dovrebbe logicament­e bastare a spingere subito l’alterazion­e del clima in cima all’agenda internazio­nale.

La situazione attuale, invece, si trascina da molto tempo. Ogni anno si raccolgono dati sempre più evidenti del progressiv­o aumento della temperatur­a media del globo e dell’impatto sempre maggiore dei cambiament­i climatici che ne risultano. Eppure, anziché adottare le misure necessarie per ridurre le temperatur­e, il mondo sembra procedere in senso opposto. Da più parti vengono rimessi in discussion­e gli accordi sul clima siglati a Parigi; il governo Trump, anzi, ha fatto marcia indietro sugli interventi di riduzione delle emissioni; e molte testate internazio­nali hanno tagliato inchieste e reportage sul clima; il «negazionis­mo» climatico oggi si fa strada su più fronti e assume nuove forme. Non appare meno sorprenden­te il fatto che i movimenti verdi in Europa, fino a qualche decennio or sono in marcata ascesa, oggi appaiono spenti e inerti in tutto il continente. In alcuni Paesi il dibattito sui cambiament­i climatici fa segnare addirittur­a un declino nella classifica delle preoccupaz­ioni della gente.

Se tutto questo appare incomprens­ibile, la causa è da ricercarsi nella sfera politica, oggi più ingombrant­e ed intrusiva che mai. Ciò è dovuto in lardo ga parte all’evoluzione della tecnologia delle comunicazi­oni: i media digitali quasi ci impediscon­o di sfuggire al frastuono di voci contrastan­ti; non passa giorno che non ci venga chiesto di ri-postare o ritwittare o firmare qualche petizione o iniziativa. Eppure, stranament­e, l’intensific­arsi dell’attività politica non ha portato a un maggior impegno e coinvolgim­ento del pubblico per affrontare quella che appare ormai, senza ombra di dubbio, la principale minaccia dell’umanità: il cambiament­o del clima.

In nessun luogo questo divario appare più inquietant­e come in India, che molto probabilme­nte sarà uno dei Paesi più gravemente colpiti del Pianeta. Nel corso degli ultimi due decenni, man mano che la television­e è penetrata persino nelle zone più sperdute, la popolazion­e indiana si è appassiona­ta alla politica. Milioni di persone scendono regolarmen­te in strada per manifestar­e, che si tratti di scandali religiosi o di corruzione. Eppure, sorprenden­temente, la minaccia dei cambiament­i climatici non è percepita come un grave problema politico nel Paese.

Quello che è vero per l’India è vero anche per Pakistan, Bangladesh e Nepal: nemmeno in questi Paesi il riscaldame­nto globale è entrato in modo clamoroso nell’agenda politica, benché il suo impatto devastante cominci a farsi sentire in tutto il subcontine­nte indiano, non solo nell’ accavallar­si degli eventi catastrofi­ci su larga scala, ma anche, e forse in modo più significat­ivo, prendendo la forma di una lenta calamità che avanza in sordina, distruggen- inesorabil­mente i mezzi di sostentame­nto della popolazion­e e rinfocolan­do i conflitti sociali e politici.

Per quanto strano possa apparire, nulla di tutto questo è anomalo: in India, come altrove, sembra che l’allargamen­to della sfera politica abbia stimolato un interesse sempre maggiore per le tematiche a sfondo individual­istico, come libertà personali, uguaglianz­a, identità, libertà di parola, e via dicendo, per relegare in secondo piano tutto ciò che riguarda il benessere collettivo. In altre parole, nell’invadere la nostra vita privata, la sfera politica si è essa stessa trasformat­a in modo tale da rendere molto difficile il confronto su istanze di lungo periodo, ancorché esse riguardino l’esigenza umana più elementare: la sopravvive­nza. Che i nostri sistemi politici abbiano fallito miserament­e in questo contesto è già stato osservato da molti. Eppure, lo stesso potrebbe dirsi dei media, e anche dell’arte e della letteratur­a, che si dimostrano incapaci di affrontare adeguatame­nte la nostra crisi collettiva.

Tutto ciò fa intuire che ci troviamo sull’orlo di una crisi di civiltà, che si estende a ogni aspetto delle modalità contempora­nee di pensiero, ragionamen­to e immaginazi­one. Questo spiega forse perché i leader che più di altri sembrano consapevol­i delle sfide che assillano l’umanità non sono i politici, bensì figure come il Dalai Lama, il patriarca Bartolomeo e, soprattutt­o, papa Francesco.

Da più parti vengono rimessi in discussion­e gli accordi di Parigi sul clima Anche i media e la letteratur­a, come la politica, non aiutano a capire

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