Il gesto fluido di Salonen esalta Sibelius
Strano e seducente, il senso dello scorrere del tempo che ci mostra il maestro finlandese Esa-Pekka Salonen. Chissà se è come il famoso «senso» scandinavo per la neve, l’immobilità dei laghi freddi o i boschi biancheggianti, o se siamo noi che, banalmente, tendiamo a vivere Sibelius come nordico «paesaggio».
Fatto sta: Salonen, direttore dallo sguardo di platino, dal gesto minuto e fluidissimo, ha affascinato la scorsa settimana alla guida della Philharmonia Orchestra (Sinfonia n. 6 e un brano da «Pelléas et Mélisande» di Sibelius, Sinfonia «Eroica» di Beethoven), in uno dei concerticlou dell’Accademia Filarmonica di Verona.
Il tempo, dunque: Salonen lo tiene a briglia corta, fermo, rigoroso. Gioca più su ampi contrasti dinamici e sulla nobiltà del timbro. Mentre le betulle sono immobili, «sotto» è tutto un pullulare vivo: suono rotondo e snello, lieve ogni cantabile, legni in dolce guizzo, archi che respirano, veramente «flautati» come Sibelius chiede, nel lungo fiume di vibranti sedicesimi, alla fine dell’ «Allegretto moderato»; persino la «Marcia funebre» dalla Sinfonia beethoveniana è qui resa sciolta ed elegiaca, in 15’15 (peccato solo per le insopportabili trombe naturali, che di continuo sforano, acide: ma perché usarle?).
A sorpresa, il tempo di Salonen torna a fluire, libero, ondeggiante, nel commovente bis, la «Valse triste» di Sibelius. Un miracolo di sussurri, pizzicati come lacrime, indugi ovattati, abbandoni, rubati, il tema che germoglia piangendo, d’improvviso molto più mosso. Disperato, come allo sciogliersi della neve.