Lo scrittore e i corrotti romani Vite incrociate nel palazzaccio
Il famoso «delitto» pasoliniano della omologazione delle classi, con la nascita di una sorta di borgat-esia, dal fascino indiscreto ed aperta ad ogni forma di corruzione, mafia e violenza, lascito di una primitiva amoralità sociale, è ormai dato di fatto, una profezia avvenuta nel modo peggiore.
Nel 2008 Rizzoli stampò il miglior romanzo di Walter Siti, poi in scena nel 2009: ed il Contagio ora peggiora, s’evolve, s’allarga, lambendo i contorni tempestosi di Mafia Capitale e del cinema che ha ritrovato slanci realisti.
Il secondo film, dopo Et in terra Pax, degli appassionati Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, nasce da questa materia insidiosa e viscida ed inizia in un palazzaccio alveare, fabbricone del Laurentino dove l’occhio dei due registi indaga come un drone, dove conosciamo alcuni inquilini. Non è solo la storia di uno scrittore borghese (Siti stesso, col volto di Salemme) attratto dallo sguardo e dai muscoli di un culturista malavitoso (miglior prova di Vinicio Marchioni), sono anche le vite incrociate di spacciatori e delinquenti, famiglie in via di distruzione e di una società in dissoluzione. Pagato il conto di influssi seriali (Suburra e Gomorra), il film ha momenti di disagio interiore anche a scoppio ritardato, scenografia studiata, forse manca un poco l’ambiguità sensuale del contagio del titolo, perché anche il contagio della carne umana è calato.
Intonato il cast, Bevilacqua e Foglietta, ma è un puzzle di sguardi, in questo organigramma amorale svetta Maurizio Tesei.