Gelo tra gli Usa e Cuba per gli attacchi sonori
Via quasi tutti i diplomatici. La stretta di Trump
Via dall’Avana. Ma non è una smobilitazione totale. Un passo indietro carico di tensione politica, non la rottura delle relazioni diplomatiche. Il governo americano richiama oltre la metà del personale, famiglie comprese, in servizio all’ambasciata a Cuba. Restano aperti solo gli uffici per eventuali emergenze. Tutte le prestazioni consolari, a cominciare dalla concessione dei visti ai cubani, vengono interrotte. Sospesi viaggi e missioni ufficiali. «Una necessaria misura di sicurezza», precisa il Segretario di Stato Rex Tillerson, una risposta a misteriosi «bombardamenti acustici» che hanno colpito, in modo serio, 21 diplomatici sui circa 50 dislocati all’Avana. Inoltre il Dipartimento di Stato mette in guardia i concittadini: «Non andate a Cuba, non conosciamo ancora le cause di ciò che è avvenuto, ma sappiamo che sono stati presi a bersaglio le nostre sedi e gli alberghi dove soggiornavano turisti statunitensi».
Quattro giorni fa, il 26 settembre, Tillerson ha incontrato a Washington il ministro degli esteri Bruno Rodriguez. La nota finale riferiva di «un incontro franco», cioè uno scontro molto duro, traducendo dal linguaggio protocollare. Il Segretario di Stato ha chiesto, per l’ennesima volta, spiegazioni su una vicenda iniziata nel novembre 2016. C’è chi ha perso l’udito in modo irreversibile, chi ha subito danni cerebrali, con sintomi come capogiri, vertigini, nausea. Nel febbraio 2017 Washington aveva sollecitato l’intervento della polizia locale. I funzionari americani avevano raccontato di essersi sentiti male dopo aver sentito strani ronzii durante la notte. L’inchiesta condotta dai cubani è andata a vuoto per mesi. Ancora la settimana scorsa lo stesso Rodriguez, parlando all’Assemblea generale dell’Onu, aveva assicurato di «non aver raccolto alcuna prova sui fatti denunciati dagli Usa».
Nel frattempo Trump ha seguito con irritazione crescente, anche perché, nel Senato, la corrente repubblicana più ostile all’Avana, guidata da Marco Rubio e Tom Cotton, si è scatenata, aggiungendo ulteriore pressione su Tillerson.
I cubani ora sostengono che gli Stati Uniti «vogliono politicizzare il caso», però, non vogliono lo strappo. Hanno consentito all’Fbi di inviare agenti sul terreno e Rodriguez ha promesso a Tillerson tutta la collaborazione necessaria.
Tillerson ci ha riflettuto per tre giorni e naturalmente si è consultato con Trump. Presidente e segretario di Stato hanno anche ascoltato i dubbi dei servizi segreti, nel frattempo filtrati sulla Cnn. Com’è possibile che un sistema ossessionato dalla sicurezza come quello castrista non sia in grado di scoprire i «pirati del suono»? Le incursioni, per altro, si sono verificate in un quartiere residenziale iper sorvegliato, visto che ci abita anche il «compagno presidente» Raúl Castro.
Martedì 19, nel discorso all’Onu, Trump aveva strapazzato «il regime corrotto e destabilizzante di Cuba», annunciando che gli Stati Uniti «non avrebbero ritirato le sanzioni».
Il filo è ora certamente più sottile, ma per il momento sembra reggere, almeno stando a quanto si legge nella nota di Tillerson: «Manteniamo le relazioni diplomatiche con Cuba e il nostro lavoro a Cuba continua a essere guidato dagli interessi legati alla nostra sicurezza nazionale e alla nostra politica estera. Cuba ci ha comunicato che continuerà a indagare su questi attacchi e a cooperare con noi».
La reazione L’Avana sostiene che gli Usa vogliono politicizzare il caso, però non vuole lo strappo