Vernici ad acqua, pannelli solari e riciclo La fabbrica dove il lavoro si fa sostenibile
Nella factory di Rimadesio, in Brianza, l’arredo più sofisticato nasce da una visione «eco»
Molte megamultinazionali sembrano guardare a Tempi moderni di Charlie Chaplin come un’ispirazione, e non come un incubo grottesco in cui l’umanità dei lavoratori è sacrificata all’efficienza. A Giussano, Brianza, quest’idea non risulta ragionevole.
Rimadesio, marchio di eccellenza dell’arredo, va in tutt’altra direzione e i risultati sono ragguardevoli. Un volume d’affari in crescita, una clientela diffusa in 90 nazioni, un numero di dipendenti che aumenta con tranquilla regolarità, e nel contempo con un’azienda sempre più «verde», con energia autoprodotta grazie a 5400 pannelli fotovoltaici, impiego consistente di materiale riciclato, utilizzo di vernici ad acqua, tagli alle emissioni di CO2. Potessero, i fratelli Malberti, figli di uno dei due fondatori di quella che 60 anni fa era una piccola vetreria, userebbero anche furgoni elettrici per consegnare. «Ne abbiamo preso uno, ma possiamo usarlo solo per le consegne più vicine, non hanno ancora l’autonomia per le distanze più impegnative», spiegano Davide e Luigi.
I Malberti smentiscono i luoghi comuni sui brianzoli ossessionati dal presente: la loro attenzione è al futuro, ma alla luce della realtà. Un esempio è il momento decisivo in cui al vetro è stata affiancata l’altra specialità della casa, l’alluminio. «Il vetro fu una scelta di nostro padre, a credere nell’alluminio siamo stati noi. Lui era scettico ma ci diede una chance», racQuando conta Davide, amministratore delegato. Il primo prodotto fu una porta scorrevole, Sipario, disegnata da Giuseppe Bavuso nel 1990. «Tutti ci dicevano bella, bella, ma... non si vendeva. Era troppo hi-tech, allora. Il mercato si fa proponendo qualcosa in più, ma senza cercare la rottura. Così l’abbiamo ricoperta in legno. Da lì in poi, decollò. Da allora Bavuso è diventato il migliore nel rendere più caldi alluminio e vetro».
parlano di alluminio, gli occhi dei Malberti si illuminano. «È un materiale versatile, malleabile, resistente», spiega Luigi, responsabile finanziario. Anche le loro cariche hanno nomi apparentemente rigidi, ma malleabili: i Malberti girano tra i capannoni con la confidenza di chi gira per casa. «Abbiamo 180 dipendenti e macchinari complessi, ma ci consideriamo ancora artigiani — spiega Luigi —. Del resto un’azienda come questa richiede competenze specifiche che si perderebbero con passaggi di proprietà. La tradizione è fondamentale e gli uomini importantissimi, non è vero che uno vale l’altro. L’esperienza fa competenza».
Davide indica un laser che taglia il vetro: pannelli su misura da una parte, scarti dall’altra (300 tonnellate vengono poi riciclate). «La lastra più sottile pesa 200 kg, la più pesante 600: sono pericolose, è meglio che siano le macchine a muoverle. Però ci sono operazioni che richiedono occhio e sensibilità umana». In ogni caso l’esperienza non implica un’età elevata, anzi. Maurizio, 31 anni, racconta: «L’età media è abbastanza bassa, arrivano regolarmente nuove leve». Ci lascia per controllare un macchinario che ha portato gli infortuni a zero nel reparto imballaggio, e che nel contempo permette di risparmiare cartone, scegliendo fogli su misura. Il suo responsabile di reparto, Michele, è qui dal 1990. «Sono entrato come apprendista, l’azienda era a Lissone, i dipendenti 35». La mensa non c’è, ma per un motivo preciso: «Abbiamo locali per il relax, per un caffé, ma per le persone che lavorano è importante uscire dalla fabbrica, passeggiare. Chi può, va a casa, sennò qui vicino ci sono molti locali».
Tutto è molto «local» ma con uno sguardo internazionale. Davide non nasconde la soddisfazione: «Non sentiamo bisogno di delocalizzare, abbiamo sempre puntato sulla manifattura italiana. In Italia c’è una marcia in più e all’estero lo vedono. Non è casuale che esistano i distretti del mobile: crescono dove c’è una certa cultura del lavoro che è anche la nostra. Non è casuale nemmeno che tanti che hanno delocalizzato ora stiano tornando indietro. Nel nostro piccolo, noi lo avevamo previsto».