L’architetto di poche parole (ma precise)
C’è una foto degli anni 60, a Venezia, alla Trattoria della Colomba: attorno al tavolo, chiamati da Giuseppe Samonà, fondatore della «Scuola di Venezia»: Carlo Scarpa, Franca Helg, Fredi Drugman, Corrado Levi, Aurelio Cortesi e Franco Albini, con Scarpa che parlava di continuo tanto quanto Albini era taciturno, (al quale Mercanteinfiera dedica una mostra, ndr) riservato, un personaggio di poche, precise parole. Una impressione confermata anche da Renzo Piano, il suo «discepolo» più celebre, quando, studente del Politecnico di Milano era andato a «bottega» nello studio di via XX settembre: Albini gli fece smontare una tv, pezzo per pezzo e gli fece disegnare i forse 50 mila blocchetti di granito, uno ad uno, della Rinascente di Roma. Piano ha più volte ricordato che lì imparò tutto quello che c’era da sapere sulla pazienza e la precisione, lavorando vicino al Maestro, «ascoltando» i suoi silenzi, assimilando la sua testardaggine artigianale, la voglia di provare e riprovare. L’architettura (ma anche il design) di Albini è fatta di elementi che volano senza mai toccare terra, di tiranti che disegnano lo spazio, di un equilibrio formale e tecnologico faticosamente ottenuto: come il prototipo della libreria Veliero, realizzata per casa propria che, una notte, svegliò la famiglia franando sotto il peso dei libri. O la lampada Mitragliera, prototipo in tre esemplari che, durante il trasporto in auto e in seguito a un normale controllo di polizia, venne scambiata per un fucile e non fu facile convincere i militi che si trattava di design. Una leggerezza assoluta, si diceva, che si ritrova nella scala della Galleria di Palazzo Rosso a Genova, fatta di gradini, cavi e poco altro, negli allestimenti per la mostra dell’Antica Oreficeria Italiana alla VI Triennale ma anche nelle stazioni della metropolitana milanese e in molti altri edifici. Caratteristiche che si ritrovano, ancora più evidenti, nei suoi mobili, la esile poltroncina Luisa, il leggero tavolino Cicognino, con la maniglia per trasportarlo agevolmente, o la scrivania «Albini»: due gambe a X e un piano in cristallo. La mostra «la sostanza della forma» ripercorre proprio questo intreccio tra progetti e vissuto, per tracciare quel sottile fil rouge che collega sempre genio e normalità.