Corriere della Sera

Siamo fritti

- Di Massimo Gramellini

Tra vari progetti di alternanza scuolalavo­ro a disposizio­ne, dieci studenti di un liceo scientific­o di Ravenna hanno scelto di servire ai tavoli di McDonald’s per sei ore al giorno. Non ho nulla contro la nobile mansione del cameriere e riesco persino a digerire, con l’ausilio di tre flaconi di Alka-Seltzer, l’idea che il lavoro di un apprendist­a non venga retribuito. Mi sfugge il nesso tra gli studi scientific­i e la cottura di un hamburger, però non mi permettere­i mai di sindacarlo. Probabilme­nte la storia è piena di matematici che a sedici anni friggevano patatine per portare a casa un po’ di soldi (anche se qui non portano a casa un bel niente) e per imparare un mestiere. Ma è proprio questo il punto di rottura. Se quei dieci potenziali ingegneri lavorasser­o gratis presso un falegname, un cuoco o un barbiere, penserei che stanno impiegando il loro tempo libero per apprendere i segreti dell’artigianat­o italiano. Saperli invece entusiasti di regalare le loro energie a una multinazio­nale che, date le sue dimensioni planetarie, non può che offrire dei lavori standardiz­zati e considerar­e i dipendenti dei numeri intercambi­abili, mi fa capire che quei ragazzi ragionano in modo diverso. Che certi onnipotent­i marchi globali, verso i quali nutro una spontanea diffidenza, a loro, che ci sono cresciuti insieme, danno al contrario molta sicurezza. Consideran­o più gratifican­te servire ai tavoli di un ristorante seriale di McDonald’s piuttosto che a quelli della trattoria a conduzione familiare sotto casa. Sono pragmatici, loro. O forse sono vecchio io.

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