Corriere della Sera

GLI ALIBI SUI MALI DI ROMA

- Di Giuseppe Di Piazza

Pensi a Roma e da anni, come fosse un riflesso condiziona­to, vengono in mente la cattiva amministra­zione, l’insieme di servizi non offerti ai cittadini, le pastoie che impediscon­o alla parte migliore della città di esprimersi, di affrontare il futuro. E se per caso questo non bastasse a deprimerci, appaiono sullo sfondo del nostro immaginari­o le buche, la siccità, il fuoco, le aziende pubbliche in fallimento e i gabbiani aggressivi. Ma che Capitale abbiamo scelto di avere? La questione è vecchia come l’Italia: abbiamo scelto la più bella e storica delle città italiane che è anche, purtroppo, nell’anno di grazia 2017, una delle più disastrate. Vi abitano quasi tre milioni di persone che conoscono a memoria lo stato dei fatti: vivono in un luogo che è allo stesso tempo delizia assoluta e croce implacabil­e, drappo di seta su corpo un tempo scultoreo, oggi sfatto. E chi ha ridotto così questa magnifica creatura? Chi si assume la responsabi­lità d’aver trasformat­o — solo per fare un esempio — la discesa del potere, dal Quirinale al Campidogli­o, lungo via IV Novembre, in un percorso di guerra tra buche che sembrano pozzi e sampietrin­i divenuti trappole? I nemici dei Cinquestel­le non hanno dubbi. Imputano ogni male al grillismo italiano, incarnato dalla silenziosa (e spesso imbarazzat­a) discrezion­e di Virginia Raggi. In questa operazione di colpevoliz­zazione i nemici dei Cinquestel­le dimentican­o che la sindaca è stata trionfalme­nte accompagna­ta in Campidogli­o, poco più di un anno fa, dal voto di due romani su tre: chi oggi l’accusa è talvolta lo stesso che l’ha votata.

D ’altronde la compagine pentastell­ata aveva preso possesso delle stanze dei bottoni con l’entusiasmo contagioso dei liceali in gita. Le promesse in campagna elettorale erano state altisonant­i: aggiustere­mo la Capitale, vi faremo vedere come si governa bene e, soprattutt­o, con onestà. È passato un anno e qualche mese, e la città nella sua realtà quotidiana — e nell’immaginari­o del Paese — è quella che era: un insieme di cose che funzionano poco o male.

Ma si può rimprovera­re a Virginia Raggi la totalità dei disastri? Si può dire, a ogni autobus che prende fuoco, che è colpa sua? Si può, in sintesi, maledire il governo (della città) anche quando piove? La risposta ovviamente è no. Raggi e i suoi assessori — per la verità moltissimi, visto il continuo cambio di poltrone — non possono rispondere dei guasti recati alla

Semplifica­zione I nemici di Virginia Raggi imputano ogni problema alla attuale amministra­zione

città negli ultimi anni di governi locali inadeguati.

I Cinquestel­le, al massimo, possono render conto dei loro quindici mesi di amministra­zione, per ora non memorabili, ma non certo delle mancanze di chi li ha preceduti. Sarebbe troppo comodo per tutti scaricare la colpa su una sola persona: un po’ come un ingiusto schiaffo del soldato.

Di chi è allora la colpa? Sul fronte opposto, cioè tra i sostenitor­i della sindaca Raggi, è in voga il gioco contrario: la responsabi­lità non è mai nostra,

ma di quelli che governavan­o prima di noi. L’Atac? L’hanno rovinata loro. Le buche? C’erano. Le zanzare? Le hanno portate da Anzio. Tutti argomenti interessan­ti e in parte fondati. Ma solo in parte. I mali della città, come si diceva, sono tali e tanti che Virginia Raggi, anche volendo, non avrebbe neanche avuto il tempo di crearli.

Ma da più di un anno Virginia Raggi è lì, una donna sola al comando, che comanda — e realizza — poco e niente. E

Alibi Ai problemi odierni i grillini trovano sempre una spiegazion­e esterna che li scagiona

questo niente ha deluso perfino una parte consistent­e dei suoi elettori che quindici mesi fa, entusiasti, avevano partecipat­o alla gita elettorale.

Come si può allora passare dal gioco delle colpe al lavoro serio delle soluzioni? Roma, siamo tutti d’accordo, non merita un simile trattament­o. È Capitale collettivo, patrimonio del nostro Paese. E su questo le simpatie individual­i e il tifo da stadio non devono aver peso. Si tratta di dare insieme una mano a raddrizzar­e una storia che sembra su un piano pericolosa­mente inclinato.

Se perde Roma, perde l’Italia: ridarle un futuro è compito nazionale, non certo di schiere locali. Altrimenti finiremmo con il perdurare nell’equivoco. Un equivoco Capitale.

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