GLI ALIBI SUI MALI DI ROMA
Pensi a Roma e da anni, come fosse un riflesso condizionato, vengono in mente la cattiva amministrazione, l’insieme di servizi non offerti ai cittadini, le pastoie che impediscono alla parte migliore della città di esprimersi, di affrontare il futuro. E se per caso questo non bastasse a deprimerci, appaiono sullo sfondo del nostro immaginario le buche, la siccità, il fuoco, le aziende pubbliche in fallimento e i gabbiani aggressivi. Ma che Capitale abbiamo scelto di avere? La questione è vecchia come l’Italia: abbiamo scelto la più bella e storica delle città italiane che è anche, purtroppo, nell’anno di grazia 2017, una delle più disastrate. Vi abitano quasi tre milioni di persone che conoscono a memoria lo stato dei fatti: vivono in un luogo che è allo stesso tempo delizia assoluta e croce implacabile, drappo di seta su corpo un tempo scultoreo, oggi sfatto. E chi ha ridotto così questa magnifica creatura? Chi si assume la responsabilità d’aver trasformato — solo per fare un esempio — la discesa del potere, dal Quirinale al Campidoglio, lungo via IV Novembre, in un percorso di guerra tra buche che sembrano pozzi e sampietrini divenuti trappole? I nemici dei Cinquestelle non hanno dubbi. Imputano ogni male al grillismo italiano, incarnato dalla silenziosa (e spesso imbarazzata) discrezione di Virginia Raggi. In questa operazione di colpevolizzazione i nemici dei Cinquestelle dimenticano che la sindaca è stata trionfalmente accompagnata in Campidoglio, poco più di un anno fa, dal voto di due romani su tre: chi oggi l’accusa è talvolta lo stesso che l’ha votata.
D ’altronde la compagine pentastellata aveva preso possesso delle stanze dei bottoni con l’entusiasmo contagioso dei liceali in gita. Le promesse in campagna elettorale erano state altisonanti: aggiusteremo la Capitale, vi faremo vedere come si governa bene e, soprattutto, con onestà. È passato un anno e qualche mese, e la città nella sua realtà quotidiana — e nell’immaginario del Paese — è quella che era: un insieme di cose che funzionano poco o male.
Ma si può rimproverare a Virginia Raggi la totalità dei disastri? Si può dire, a ogni autobus che prende fuoco, che è colpa sua? Si può, in sintesi, maledire il governo (della città) anche quando piove? La risposta ovviamente è no. Raggi e i suoi assessori — per la verità moltissimi, visto il continuo cambio di poltrone — non possono rispondere dei guasti recati alla
Semplificazione I nemici di Virginia Raggi imputano ogni problema alla attuale amministrazione
città negli ultimi anni di governi locali inadeguati.
I Cinquestelle, al massimo, possono render conto dei loro quindici mesi di amministrazione, per ora non memorabili, ma non certo delle mancanze di chi li ha preceduti. Sarebbe troppo comodo per tutti scaricare la colpa su una sola persona: un po’ come un ingiusto schiaffo del soldato.
Di chi è allora la colpa? Sul fronte opposto, cioè tra i sostenitori della sindaca Raggi, è in voga il gioco contrario: la responsabilità non è mai nostra,
ma di quelli che governavano prima di noi. L’Atac? L’hanno rovinata loro. Le buche? C’erano. Le zanzare? Le hanno portate da Anzio. Tutti argomenti interessanti e in parte fondati. Ma solo in parte. I mali della città, come si diceva, sono tali e tanti che Virginia Raggi, anche volendo, non avrebbe neanche avuto il tempo di crearli.
Ma da più di un anno Virginia Raggi è lì, una donna sola al comando, che comanda — e realizza — poco e niente. E
Alibi Ai problemi odierni i grillini trovano sempre una spiegazione esterna che li scagiona
questo niente ha deluso perfino una parte consistente dei suoi elettori che quindici mesi fa, entusiasti, avevano partecipato alla gita elettorale.
Come si può allora passare dal gioco delle colpe al lavoro serio delle soluzioni? Roma, siamo tutti d’accordo, non merita un simile trattamento. È Capitale collettivo, patrimonio del nostro Paese. E su questo le simpatie individuali e il tifo da stadio non devono aver peso. Si tratta di dare insieme una mano a raddrizzare una storia che sembra su un piano pericolosamente inclinato.
Se perde Roma, perde l’Italia: ridarle un futuro è compito nazionale, non certo di schiere locali. Altrimenti finiremmo con il perdurare nell’equivoco. Un equivoco Capitale.