Quelle scommesse e i misteri sul killer
Paddock aveva giocato 160 mila dollari e aveva fatto causa ad un casinò Dubbi sui soldi inviati alla compagna nelle Filippine
inchiesta sul massacro di Las Vegas è in una fase delicata, serve tempo per capire e non bisogna avere fretta. Perché sono ancora tanti i vuoti da riempire, a partire da cosa abbia innescato l’attentato. Non lo chiamerei in altro modo, a meno che non si vogliano concedere delle attenuanti ad un assassino.
Il movente
Fino ad oggi la polizia non ha individuato il movente dell’attacco al concerto. In apparenza il killer non aveva legami con gruppi estremisti, non ha mai dato segno di disturbi e non sono emersi precedenti seri. Il fratello — anche se va preso con le molle — ha descritto Stephen Paddock come un uomo ricco e benestante, capace di giocare somme importanti e con a disposizione un robusto patrimonio. Qualche vicino lo ha definito «un po’ chiuso e strano». Non sono indizi. È certo che abbia scommesso nelle ultime settimane 160 mila dollari, da qui lo scenario ipotizzato di un’esplosione di violenza legata ad una grossa perdita. In alternativa hanno rispolverato la vecchia causa intentata, nel 2012, senza successo contro un casinò. Siamo nel campo delle supposizioni.
Le armi
L’omicida ha portato nella stanza 315 del Mandalay Hotel 23 armi, compresi fucili potenti, come un Kalashnikov e un Ar 15. Uno modificato per sparare un alto volume di proiettili. In auto aveva del fertilizzante che poteva essere usato per fabbricare ordigni esplosivi. Altre 23 bocche da fuoco sono state scoperte nella sua abitazione. Che bisogno aveva di così tanti «pezzi», per giunta dello stesso modello? Erano solo per lui o doveva avere dei complici? La camera d’albergo era solo la migliore posizione di tiro o una sorta di avamposto da condividere? Paddock ha pianificato tutto al dettaglio. È arrivato il 28, ha trasportato l’arsenale dentro 10 borsoni, ha piazzato anche una telecamera per monitorare il corridoio esterno. Sembra Il giorno dopo Sopra Trump e la first lady osservano un minuto di silenzio. Sotto, bandiere a mezz’asta a Washington in segno di lutto (Ap, Afp) che avesse anche una seconda camera che registrava le sue mosse. Come riteneva di poter diffondere le immagini? Di nuovo un comportamento che ricorda i terroristi e altri killer «folli», come il sud coreano del Virginia Tech.
La compagna
Marilou Danley, australiana d’origine filippina, 62 anni, divorziata e nonna, una vita da hostess nei casinò, si trova all’estero. Era partita per Hong Kong il 25, prima tappa di un viaggio. La sua assenza è una semplice coincidenza oppure ha qualche legame con la sparatoria? Nelle prime ore è stata definita «persona di interesse», posizione poi mutata: gli inquirenti non credono ad un suo coinvolgimento diretto e hanno precisato che collabora. Al suo rientro — previsto per oggi —, potrà dare indicazioni utili. Magari sul denaro che lo stragista ha inviato ripetutamente nelle Filippine nelle ultime settimane: circa 100 mila dollari. Era in favore della donna o di chi? E uno che ha perso al videopoker può permettersi questo «dono»? Oppure era una sorta di eredità prima dell’atto finale? Facile comprendere che su questa traccia siano sorte molte speculazioni.
Oltre ai fucili In auto aveva del fertilizzante che poteva essere usato per fabbricare ordigni
Il lupo solitario
Le autorità hanno definito Paddock un «lupo solitario». E questo appena poche ore dopo l’imboscata. Un’affermazione troppo veloce. In questi casi meglio scavare a fondo prima di emettere un verdetto. E questo vale a prescindere dalle motivazioni. All’opposto la storia americana è segnata da una lunga serie di stragisti di massa che hanno agito su base individuale e con effetti letali. Dunque ci sta che l’ex contabile con il debole per il tavolo verde abbia concepito il suo piano nella villetta di Mesquite, ad un’ora da Las Vegas. Meglio però esserne sicuri allontanando anche le ombre degli sciacalli dell’Isis.