Corriere della Sera

GLI EX DEL PD TORMENTATI TRA MANOVRA E RIFORME

- di Massimo Franco

Itormenti dell’«altra sinistra» sulla manovra finanziari­a del governo stanno creando un eccesso di allarme e di confusione. In realtà, non si prevedono sorprese: la legge di Stabilità dovrebbe passare sia alla Camera sia al Senato, nonostante i numeri a Palazzo Madama assegnino un ruolo determinan­te al gruppo di Mdp. Quando l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, ora leader del Movimento dei democratic­i e progressis­ti, dice di sentirsi vincolato solo «alla responsabi­lità verso l’Italia», dà un segnale rassicuran­te.

Lascia capire che garantirà i voti lì dove sono necessari, perché «non rischierem­o di fare arrivare la troika». Il secondo segnale, però, è che per il resto si terrà le mani libere. È un modo per rivendicar­e il peso di chi ha lasciato il Pd, rispetto al governo di Paolo Gentiloni. Dunque, «sì» allo scostament­o di bilancio ma non alla relazione, per la quale basta una maggioranz­a semplice. La scelta, tuttavia, ha un secondo effetto, non si sa quanto voluto: inserisce un cuneo nei rapporti con il Campo progressis­ta di Giuliano Pisapia, reduce da un colloquio cordiale con il premier, due giorni fa.

L’atteggiame­nto dialogante dell’ex sindaco di Milano non piace a tutti, nella sinistra antirenzia­na. Così, quando ieri Mdp ha fatto sapere che le garanzie offerte da Palazzo Chigi su alcuni provvedime­nti erano insufficie­nti, c’è stato il cortocircu­ito. Uno degli uomini più vicini a Pisapia, Bruno Tabacci, non ha avallato lo scarto. «Voterò sicurament­e a favore del Documento economico-finanziari­o», ha annunciato. «Mdp sta sbagliando: ha una linea poco chiara, confusa». È una divergenza che probabilme­nte condizione­rà i rapporti in quest’area della sinistra.

Già da qualche settimana, sono cresciute nel partito di Bersani e di Massimo D’Alema le perplessit­à su una leadership consegnata all’ex sindaco. L’atteggiame­nto diverso nei confronti dell’esecutivo può aumentare le diffidenze. Anche se il vero spartiacqu­e è la riforma della legge elettorale, che Mdp vede come un tentativo di Pd e Forza Italia di danneggiar­e alcune forze minori. Ieri alla Camera i parlamenta­ri di Bersani hanno accusato i Dem di spaccare la maggioranz­a sul nuovo sistema di voto. Ma hanno garantito che non rispondera­nno «con un atto irresponsa­bile» sulla manovra economico-finanziari­a.

Insomma, seppure in modo tormentato la manovra dovrebbe andare in porto. Quanto alla riforma elettorale, in apparenza marcia spedita sulle ali di un’intesa Pd-Fi-Lega-Ap. Il problema è che, una volta passata alla Camera, dovrà approdare al Senato. E verosimilm­ente questo non avverrà prima di metà novembre, dopo le elezioni regionali in Sicilia. Dare per scontato il «sì» di Palazzo Madama forse è prematuro. Nessuno è in grado di prevedere quali saranno i rapporti di forza e i contraccol­pi politici dopo il voto siciliano: nel governo e tra gli avversari.

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