GLI EX DEL PD TORMENTATI TRA MANOVRA E RIFORME
Itormenti dell’«altra sinistra» sulla manovra finanziaria del governo stanno creando un eccesso di allarme e di confusione. In realtà, non si prevedono sorprese: la legge di Stabilità dovrebbe passare sia alla Camera sia al Senato, nonostante i numeri a Palazzo Madama assegnino un ruolo determinante al gruppo di Mdp. Quando l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani, ora leader del Movimento dei democratici e progressisti, dice di sentirsi vincolato solo «alla responsabilità verso l’Italia», dà un segnale rassicurante.
Lascia capire che garantirà i voti lì dove sono necessari, perché «non rischieremo di fare arrivare la troika». Il secondo segnale, però, è che per il resto si terrà le mani libere. È un modo per rivendicare il peso di chi ha lasciato il Pd, rispetto al governo di Paolo Gentiloni. Dunque, «sì» allo scostamento di bilancio ma non alla relazione, per la quale basta una maggioranza semplice. La scelta, tuttavia, ha un secondo effetto, non si sa quanto voluto: inserisce un cuneo nei rapporti con il Campo progressista di Giuliano Pisapia, reduce da un colloquio cordiale con il premier, due giorni fa.
L’atteggiamento dialogante dell’ex sindaco di Milano non piace a tutti, nella sinistra antirenziana. Così, quando ieri Mdp ha fatto sapere che le garanzie offerte da Palazzo Chigi su alcuni provvedimenti erano insufficienti, c’è stato il cortocircuito. Uno degli uomini più vicini a Pisapia, Bruno Tabacci, non ha avallato lo scarto. «Voterò sicuramente a favore del Documento economico-finanziario», ha annunciato. «Mdp sta sbagliando: ha una linea poco chiara, confusa». È una divergenza che probabilmente condizionerà i rapporti in quest’area della sinistra.
Già da qualche settimana, sono cresciute nel partito di Bersani e di Massimo D’Alema le perplessità su una leadership consegnata all’ex sindaco. L’atteggiamento diverso nei confronti dell’esecutivo può aumentare le diffidenze. Anche se il vero spartiacque è la riforma della legge elettorale, che Mdp vede come un tentativo di Pd e Forza Italia di danneggiare alcune forze minori. Ieri alla Camera i parlamentari di Bersani hanno accusato i Dem di spaccare la maggioranza sul nuovo sistema di voto. Ma hanno garantito che non risponderanno «con un atto irresponsabile» sulla manovra economico-finanziaria.
Insomma, seppure in modo tormentato la manovra dovrebbe andare in porto. Quanto alla riforma elettorale, in apparenza marcia spedita sulle ali di un’intesa Pd-Fi-Lega-Ap. Il problema è che, una volta passata alla Camera, dovrà approdare al Senato. E verosimilmente questo non avverrà prima di metà novembre, dopo le elezioni regionali in Sicilia. Dare per scontato il «sì» di Palazzo Madama forse è prematuro. Nessuno è in grado di prevedere quali saranno i rapporti di forza e i contraccolpi politici dopo il voto siciliano: nel governo e tra gli avversari.