Pugni, calci e insulti omofobi «Aggredito per il mio film»
Roma, il regista Riso aveva denunciato il mercato dell’utero in affitto
«Lunedì pomeriggio ero uscito per andare alla pasticceria Andreotti, vicino a casa mia, in zona Ostiense. Nell’androne sono stato aggredito da due persone, forte accento romanesco, mi hanno colpito alla faccia, allo stomaco. Mi ricordo che mi hanno gridato: “Froci!”». Sebastiano Riso lo racconta al Corriere ancora scosso, il resoconto dettagliato di un pomeriggio di paura lo ha appena fatto in questura dove è andato a denunciare l’aggressione. La sera prima era stato all’ospedale Fatebenefratelli dove i medici gli hanno riscontrato una contusione della parete toracica addominale e un trauma allo zigomo con edema alla cornea. Prognosi dieci giorni. «Insieme a me c’era un amico, Sebastian Gimelli, era pochi passi più indietro, ha visto tutto e sentito anche che dicevano: «I froci in Italia non devono avere figli. Avete rotto!».
Il riferimento, Riso ne è certo, è a Una famiglia, la sua opera seconda che ha presentato in concorso all’ultima edizione della mostra del cinema di Venezia, nelle sale dallo scorso 28 settembre. Il racconto del rapporto patologico che lega una donna e un uomo — Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel — tenuta insieme da un progetto criminale: mettere al mondo figli destinati al mercato nero dei neonati a cui attingono coppie etero e gay. «Un film non sull’utero in affitto ma sugli effetti di un buco legislativo in tema di adozione che ha permesso a quel traffico di bambini di svilupparsi nel nostro Paese», precisa il regista catanese.
La sua denuncia è contro ignoti. «In zona ci sono molte telecamere, speriamo servano a identificare gli aggressori — spiega —. Una vicina mi ha detto di aver notato due persone nei paraggi nelle ore precedenti. Sono molto spaventato all’idea che potessero conoscere il mio indirizzo. Non mi era mai successo neanche in Sicilia dove sono cresciuto di essere vittima di omofobia. Che possa accadere nel 2017 a Roma, in pieno giorno, praticamente a casa propria, mi terrorizza». Si aspettava reazioni controverse al film, sperava, aveva spiegato a Venezia, di stimolare un dibattito. Certo non poteva prevedere che sarebbe diventato lui stesso la notizia. «La violenza è stata esercitata contro la mia inclinazione a esprimere me stesso anche e soprattutto attraverso il mio lavoro. Nonostante paura e rabbia continuerò a farlo, come e più di prima».
Molti gli attestati di solidarietà. I suoi attori, i colleghi registi, i produttori e distributori del film, Indiana Production con Rai Cinema e Bim che esprimono indignazione e vicinanza. Così come il direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera («L’aggressione omofoba è un gesto vigliacco indegno e rivoltante, frutto di una subcultura dilagante»). Dal Gay Center arriva l’invito a approvare norme «contro l’omo-trans-fobia da parte delle istituzioni, come già avviene in molti Paesi della Ue».
I messaggi di sostegno sono bipartisan. Spicca anche la voce del senatore di Idea Carlo Giovanardi. Fa sapere di aver visto e «apprezzato Una famiglia». L’esegesi è diversa da quella del regista («denuncia appassionata dell’ignobile pratica dell’utero in affitto, commissionato sia da coppie omo che eterosessuali»). I suoi aggressori, dice, «sono così cretini da prendersela con un regista omosessuale che ha avuto il coraggio di documentare quale miseria morale ci sia nella pretesa di utilizzare una donna come contenitore di un figlio da vendere a ricchi committenti».
Il clima, sottolinea Riso, «è pesante». In questi giorni, ricorda, si sta indirizzando anche sui social network contro un film «bellissimo come 120 battiti al minuto di Robin Campillo che racconta la battaglia degli attivisti francesi contro l’Aids. L’ostilità è concreta».
L’agguato Due uomini lo hanno atteso nell’androne Solidarietà alla vittima anche da Giovanardi