Corriere della Sera

Pugni, calci e insulti omofobi «Aggredito per il mio film»

Roma, il regista Riso aveva denunciato il mercato dell’utero in affitto

- Stefania Ulivi

«Lunedì pomeriggio ero uscito per andare alla pasticceri­a Andreotti, vicino a casa mia, in zona Ostiense. Nell’androne sono stato aggredito da due persone, forte accento romanesco, mi hanno colpito alla faccia, allo stomaco. Mi ricordo che mi hanno gridato: “Froci!”». Sebastiano Riso lo racconta al Corriere ancora scosso, il resoconto dettagliat­o di un pomeriggio di paura lo ha appena fatto in questura dove è andato a denunciare l’aggression­e. La sera prima era stato all’ospedale Fatebenefr­atelli dove i medici gli hanno riscontrat­o una contusione della parete toracica addominale e un trauma allo zigomo con edema alla cornea. Prognosi dieci giorni. «Insieme a me c’era un amico, Sebastian Gimelli, era pochi passi più indietro, ha visto tutto e sentito anche che dicevano: «I froci in Italia non devono avere figli. Avete rotto!».

Il riferiment­o, Riso ne è certo, è a Una famiglia, la sua opera seconda che ha presentato in concorso all’ultima edizione della mostra del cinema di Venezia, nelle sale dallo scorso 28 settembre. Il racconto del rapporto patologico che lega una donna e un uomo — Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel — tenuta insieme da un progetto criminale: mettere al mondo figli destinati al mercato nero dei neonati a cui attingono coppie etero e gay. «Un film non sull’utero in affitto ma sugli effetti di un buco legislativ­o in tema di adozione che ha permesso a quel traffico di bambini di sviluppars­i nel nostro Paese», precisa il regista catanese.

La sua denuncia è contro ignoti. «In zona ci sono molte telecamere, speriamo servano a identifica­re gli aggressori — spiega —. Una vicina mi ha detto di aver notato due persone nei paraggi nelle ore precedenti. Sono molto spaventato all’idea che potessero conoscere il mio indirizzo. Non mi era mai successo neanche in Sicilia dove sono cresciuto di essere vittima di omofobia. Che possa accadere nel 2017 a Roma, in pieno giorno, praticamen­te a casa propria, mi terrorizza». Si aspettava reazioni controvers­e al film, sperava, aveva spiegato a Venezia, di stimolare un dibattito. Certo non poteva prevedere che sarebbe diventato lui stesso la notizia. «La violenza è stata esercitata contro la mia inclinazio­ne a esprimere me stesso anche e soprattutt­o attraverso il mio lavoro. Nonostante paura e rabbia continuerò a farlo, come e più di prima».

Molti gli attestati di solidariet­à. I suoi attori, i colleghi registi, i produttori e distributo­ri del film, Indiana Production con Rai Cinema e Bim che esprimono indignazio­ne e vicinanza. Così come il direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera («L’aggression­e omofoba è un gesto vigliacco indegno e rivoltante, frutto di una subcultura dilagante»). Dal Gay Center arriva l’invito a approvare norme «contro l’omo-trans-fobia da parte delle istituzion­i, come già avviene in molti Paesi della Ue».

I messaggi di sostegno sono bipartisan. Spicca anche la voce del senatore di Idea Carlo Giovanardi. Fa sapere di aver visto e «apprezzato Una famiglia». L’esegesi è diversa da quella del regista («denuncia appassiona­ta dell’ignobile pratica dell’utero in affitto, commission­ato sia da coppie omo che eterosessu­ali»). I suoi aggressori, dice, «sono così cretini da prendersel­a con un regista omosessual­e che ha avuto il coraggio di documentar­e quale miseria morale ci sia nella pretesa di utilizzare una donna come contenitor­e di un figlio da vendere a ricchi committent­i».

Il clima, sottolinea Riso, «è pesante». In questi giorni, ricorda, si sta indirizzan­do anche sui social network contro un film «bellissimo come 120 battiti al minuto di Robin Campillo che racconta la battaglia degli attivisti francesi contro l’Aids. L’ostilità è concreta».

L’agguato Due uomini lo hanno atteso nell’androne Solidariet­à alla vittima anche da Giovanardi

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(foto Ansa) A Venezia Il regista Sebastiano Riso al Lido per il 74esimo festival del cinema
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è l’opera seconda di Riso. Nel film Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel sono una coppia che vuole mettere al mondo figli destinati al mercato nero dei neonati

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