Un nuovo «japonisme» che oggi fa tendenza
L’Occidente ha contratto la malattia del japonisme, l’infatuazione per l’arte giapponese, nella seconda metà dell’800 quando la Compagnia delle Indie introdusse in Olanda le prime stampe ukiyo-e. Fu una febbre da cavallo che contagiò i pittori più geniali. Quell’epoca è finita per sempre, anche se da alcuni anni, a giudicare dal successo delle mostre, assistiamo a un suo revival. Questa volta, infatti, il contagio non corre più fra gli artisti, ma è circoscritto al grande pubblico. Non si tratta di un fenomeno culturale, ma di gusto all’interno del mercato del consumo culturale. Oggi le incisioni giapponesi non fungono più da innesco di nuovi stili artistici, ma si limitano a regalare una forma d’intrattenimento che ha a che fare con linguaggi frequentati da precise tribù sociali chiamate trend setter, che cioè guidano le tendenze: la graphic novel; i fumetti; i tatuaggi. Le stampe ukiyo-e fanno quindi parte di quei consumi culturali alla moda cui sono sensibili anche le generazioni giovani che di solito non frequentano i musei. Ecco perché un anno fa la grande mostra milanese su Hokusai, Hiroshige e Utamaro, nomi sconosciuti ai più, balzò sorprendentemente in cima alle classifiche. A differenza delle incisioni occidentali, quelle ukiyo-e sono colorate, rappresentano storie di naufragi, geishe, paesaggi incantati, scenette di vita quotidiana. Non ci sono complicati significati teologici, allegorie, rimandi ai testi sacri. Sono solo storie con mostri, guerrieri, attori kabuki, geishe flessuose raccontate con un linguaggio che oscilla entro tre semplici registri: realistico, fiabesco ed erotico. Senza nulla di intellettuale. Una bella comodità che ci permette di lasciarci andare al solo piacere degli occhi. Non è poco per spiegare il nuovo successo popolare del giapponismo.