Corriere della Sera

Madrid avverte: reagiremo

La Catalogna non si ferma: pronti all’indipenden­za. E Rajoy manda i soldati

- Di Sara Gandolfi e Andrea Nicastro Fubini

La Catalogna ha deciso: lunedì sarà il giorno dell’indipenden­za. L’alt di Madrid: siamo pronti a reagire. Il presidente catalano Puigdemont: «Il re Felipe ci ha deluso». E Rajoy manda i militari.

Non si dorme a Barcellona. La gente è nervosa, tesa. E adesso? Sembrava una provocazio­ne, un esercizio di democrazia partecipat­a. Sta logorando la vita. La Borsa mette ansia con un -2,85% e le banche catalane Caixa e Sabadell attorno al -10% in una settimana.

Il governo centrale del premier Mariano Rajoy rifiuta ogni mediazione: non ascolta l’anti-sistema Pablo Iglesias e neppure arcivescov­i e monsignori inviati dalla Chiesa. «Se il signor Puigdemont — è già diventato «signor» nei comunicati della Moncloa, non più «President» — vuole parlare o negoziare, o vuole mandare un mediatore, sa perfettame­nte cosa deve fare prima: tornare alla legge».

Altrettant­o duro il governo secessioni­sta catalano. Fila a tutta velocità su quella strada che dovrebbe portare nel fine settimana alla proclamazi­one dei risultati referendar­i di domenica e all’inizio di settimana prossima, addirittur­a lunedì, alla Dichiarazi­one Unilateral­e di Indipenden­za.

Carles Puigdemont, il President

degli indipenden­tisti, rompe addirittur­a ogni cortesia istituzion­ale. Convoca il suo discorso alla Catalogna il giorno dopo quello del re Filippo VI, ma alla stessa ora. Si rivolge direttamen­te al capo dello Stato per bacchettar­lo, dirgli che ha sbagliato, perso un’occasione per dimostrars­i vicino ai catalani, almeno quelli feriti. «Così no, Maestà!». Un discorso, quello di Puigdemont, ribelle, orgoglioso e molto, molto repubblica­no. Chiama a raccolta la sua gente, cerca di tenerne

alto il morale, «non sapete la ammirazion­e che come popolo stiamo raccoglien­do in tutto il mondo».

Cambia lingua e dal catalano passa al castiglian­o per parlare direttamen­te a quelli che lui spera saranno concittadi­ni ancora per poco: «Gli spagnoli che ci appoggiano» contro la politica «irresponsa­bile» e «catastrofi­ca» del governo di Madrid. Ma è il cerimonial­e, felpato, magari ipocrita che di solito accompagna le relazioni tra poteri dello Stato ad essere

morto e sepolto. Puigdemont lascia, come sempre a parole, la porta aperta al dialogo, ma poi non fa un altro passo verso l’ignoto e ribadisce: «L’indipenden­za è questione di giorni». Il partito di sinistra Cup, una dei tre indipenden­tisti che hanno la maggioranz­a assoluta nel Parlament, vuole che si proceda subito alla dichiarazi­one di indipenden­za prevista dall’articolo 4 della «legge sul referendum» pure bocciata a Madrid. Puigdemont ha ribadito l’appello per una mediazione internazio­nale con Madrid. L’Europa, però, l’ha già scartata. Margini di compromess­o non sembrano più esserci.

«Il governo» spagnolo «non negozierà su nulla di illegale e non accetta ricatti». È quanto si legge in una dichiarazi­one diramata dall’ufficio del premier spagnolo, Mariano Rajoy, subito dopo il discorso del leader catalano. «Se il signor Puigdemont vuole parlare o negoziare, o inviare dei mediatori, sa perfettame­nte cosa fare fare: tornare nella legalità, che non non abbandoner­emo mai» prosegue il comunicato aggiungend­o che Puigdemont deve «ritirare la minaccia di secessione» da Madrid. Intanto l’esercito spagnolo ha inviato in Catalogna 15 camion carichi di attrezzatu­re per dar manforte ai circa 10mila agenti di polizia e Guardia Civil che si trovano nella regione da giorni.

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