Madrid avverte: reagiremo
La Catalogna non si ferma: pronti all’indipendenza. E Rajoy manda i soldati
La Catalogna ha deciso: lunedì sarà il giorno dell’indipendenza. L’alt di Madrid: siamo pronti a reagire. Il presidente catalano Puigdemont: «Il re Felipe ci ha deluso». E Rajoy manda i militari.
Non si dorme a Barcellona. La gente è nervosa, tesa. E adesso? Sembrava una provocazione, un esercizio di democrazia partecipata. Sta logorando la vita. La Borsa mette ansia con un -2,85% e le banche catalane Caixa e Sabadell attorno al -10% in una settimana.
Il governo centrale del premier Mariano Rajoy rifiuta ogni mediazione: non ascolta l’anti-sistema Pablo Iglesias e neppure arcivescovi e monsignori inviati dalla Chiesa. «Se il signor Puigdemont — è già diventato «signor» nei comunicati della Moncloa, non più «President» — vuole parlare o negoziare, o vuole mandare un mediatore, sa perfettamente cosa deve fare prima: tornare alla legge».
Altrettanto duro il governo secessionista catalano. Fila a tutta velocità su quella strada che dovrebbe portare nel fine settimana alla proclamazione dei risultati referendari di domenica e all’inizio di settimana prossima, addirittura lunedì, alla Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza.
Carles Puigdemont, il President
degli indipendentisti, rompe addirittura ogni cortesia istituzionale. Convoca il suo discorso alla Catalogna il giorno dopo quello del re Filippo VI, ma alla stessa ora. Si rivolge direttamente al capo dello Stato per bacchettarlo, dirgli che ha sbagliato, perso un’occasione per dimostrarsi vicino ai catalani, almeno quelli feriti. «Così no, Maestà!». Un discorso, quello di Puigdemont, ribelle, orgoglioso e molto, molto repubblicano. Chiama a raccolta la sua gente, cerca di tenerne
alto il morale, «non sapete la ammirazione che come popolo stiamo raccogliendo in tutto il mondo».
Cambia lingua e dal catalano passa al castigliano per parlare direttamente a quelli che lui spera saranno concittadini ancora per poco: «Gli spagnoli che ci appoggiano» contro la politica «irresponsabile» e «catastrofica» del governo di Madrid. Ma è il cerimoniale, felpato, magari ipocrita che di solito accompagna le relazioni tra poteri dello Stato ad essere
morto e sepolto. Puigdemont lascia, come sempre a parole, la porta aperta al dialogo, ma poi non fa un altro passo verso l’ignoto e ribadisce: «L’indipendenza è questione di giorni». Il partito di sinistra Cup, una dei tre indipendentisti che hanno la maggioranza assoluta nel Parlament, vuole che si proceda subito alla dichiarazione di indipendenza prevista dall’articolo 4 della «legge sul referendum» pure bocciata a Madrid. Puigdemont ha ribadito l’appello per una mediazione internazionale con Madrid. L’Europa, però, l’ha già scartata. Margini di compromesso non sembrano più esserci.
«Il governo» spagnolo «non negozierà su nulla di illegale e non accetta ricatti». È quanto si legge in una dichiarazione diramata dall’ufficio del premier spagnolo, Mariano Rajoy, subito dopo il discorso del leader catalano. «Se il signor Puigdemont vuole parlare o negoziare, o inviare dei mediatori, sa perfettamente cosa fare fare: tornare nella legalità, che non non abbandoneremo mai» prosegue il comunicato aggiungendo che Puigdemont deve «ritirare la minaccia di secessione» da Madrid. Intanto l’esercito spagnolo ha inviato in Catalogna 15 camion carichi di attrezzature per dar manforte ai circa 10mila agenti di polizia e Guardia Civil che si trovano nella regione da giorni.