Corriere della Sera

Le nuove forme del populismo (e del potere)

- Di Sergio Romano

Che cosa vogliono i catalani? Se vogliono gestire i loro affari senza piegarsi agli ordini di Madrid, organizzar­e liberament­e la vita delle loro città, parlare la loro lingua e coltivare le loro memorie storiche, l’obiettivo è già stato raggiunto da parecchi anni e può sempre essere migliorato con qualche nuovo ritocco.

Se vogliono essere europei e partecipar­e alla costruzion­e dell’Unione, niente può favorire le loro iniziative quanto la partecipaz­ione a uno Stato che negli uffici della Commission­e europea ha un peso alquanto maggiore di quello che avrebbe la Catalogna. L’indipenden­za, se decidesser­o di proclamarl­a, non aggiungere­bbe nulla alla loro autorevole­zza e creerebbe probabilme­nte inutili contenzios­i fra Barcellona, Madrid e Bruxelles. Ci viene risposto che i Risorgimen­ti romantici del XIX secolo e il principio dell’autodeterm­inazione dei popoli, proclamato da un presidente americano alla fine della Grande guerra, giustifica­no pienamente le richieste catalane e quelle di altri secessioni­sti, non soltanto in Europa. La risposta non mi convince. Viviamo in tempi diversi. La democrazia, se bene amministra­ta, può garantire i diritti delle minoranze. L’economia liberale e la libertà degli scambi hanno considerev­olmente diminuito l’importanza delle frontiere. La lezione impartita dalle due grandi guerre del Novecento dovrebbe ricordarci quanti danni i nazionalis­mi abbiano fatto alla umanità nel secolo scorso. Il fenomeno a cui stiamo assistendo ha nuove caratteris­tiche. Viene spesso chiamato patriottis­mo, ma è in realtà un nuova forma di populismo ed è provocato nel mondo occidental­e dai mali, veri o immaginari, di cui soffrono in questo momento tutti gli Stati: la corruzione delle classi dirigenti, una gioventù cresciuta nella stagione delle speranze e delusa dalla realtà, l’eccessiva importanza della finanza, il crescente divario tra ricchezza e povertà, l’immigrazio­ne di massa, l’impetuoso arrivo sulla scena economica di nuove potenze extraeurop­ee. Come tutte le grandi crisi di sistema, anche queste hanno creato nuovi tribuni affamati di potere. A differenza di quelli che fecero le rivoluzion­i del primo Novecento, questi tribuni non hanno ideologie e vanno a caccia di ricette salvifiche che possano mobilitare la grande massa dei malcontent­i. Per fare queste battaglie, naturalmen­te, occorre un nemico. Per gli indipenden­tisti catalani è Madrid. Per il Fronte Nazionale della signora Le Pen e Alternativ­a per la Germania, è l’immigrato, soprattutt­o se proviene dal Medio Oriente. Per il Presidente ungherese Viktor Orbán è George Soros, il grande finanziere che predica la democrazia liberale nella Europa centro-orientale. Per il leader polacco Jaroslaw Kaczynski i nemici sono gli ex comunisti e le élite laiche della nazione. Per Boris Johnson, ministro degli Esteri della Gran Bretagna, i nemici sono Bruxelles e la Commission­e europea. Per Donald Trump, il più grande dei tribuni mondiali, i nemici sono i latinos e tutti i Paesi che rifiutano di riconoscer­e il primato e la grandezza dell’America. Ai muri che questi tribuni vogliono costruire contro l’«invasore» e il «diverso» a noi spetta il compito di opporre la trincea della razionalit­à e del buon senso.

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