Foto, realtà virtuale e un frammento di Luna
L’allestimento punta sulla multimedialità. Pizzimenti: «La prossima svolta? I viaggi su Marte»
La frase di Paul Valéry «Il futuro non è più quello di una volta» non è mai stata così tangibile come nella visita alla mostra NASA-A Human Adventure, aperta da pochi giorni e per sei mesi allo Spazio Ventura XV di Lambrate, tra i pochi posti in grado di contenere i circa 300 oggetti che raccontano l’epopea dello Spazio.
Certo la reazione delle nuove generazioni, per quanto incuriosita, sarà ben diversa da quella di chi era giovane o bambino negli anni 60 e 70, e dopo aver vissuto quel senso di mistero, sgomento e meraviglia che circondava le conquiste dell’astronomia, col tempo lo ha gradualmente rimosso una volta spentasi l’eco della più fascinosa delle imprese, lo sbarco sulla Luna.
«Oggi le missioni di Samantha Cristoforetti o quella appena iniziata di Paolo Nespoli paiono quasi ordinarie. Ma non lo sono: lo Spazio non è un posto facile per l’uomo. Lo Spazio cerca di uccidere l’uomo. Andarci sarà sempre tra le attività più complesse mai riuscite al genere umano», dice il curatore scientifico Luigi Pizzimenti, presidente della Adaa (Associazione per la Divulgazione Astronomica e Astronautica).
E vedendo per la prima volta tutti insieme, nella loro evoluzione, gli elementi che hanno reso possibile tale avventura umana, si capisce perché. A partire dall’oggetto che ha festeggiato proprio in questi giorni 60 anni: lo Sputnik, la piccola sfera dall’aria innocua (58 cm di diametro) che mandando un semplice bip dallo spazio sconvolse il mondo e scatenò negli Usa la paura del sorpasso tecnologico sovietico. Perché, pur tenendo conto del ruolo giocato dal tedesco (e poi americano d’importazione) Von Braun — inizialmente con le micidiali V2, delle quali sono presenti alcuni frammenti — la prima fase della conquista dello spazio è molto più russa che americana: si pensi al cane Laika, a Yuri Gagarin, Valentina Tereshkova. Tant’è che, malgrado la mostra riguardi la National Aeronautics and Space Administration, sono presenti anche reperti degli avversari, che forniscono piccole sorprese (il cibo spaziale russo pare un po’ più invitante rispetto alle spietate scatolette americane). Ma vedere affiancate le tute Nasa di diverse epoche, le ricostruzioni delle navicelle Mercury e Gemini, i veicoli lunari, genera uno strano, perduto senso di ammirazione per quanto l’umanità può fare. Forse più nella sezione «lunare» della mostra che in quella dedicata alla fase degli Space Shuttle, probabilmente per il gap tecnologico tra le due epoche, quella elettromeccanica contro l’elettronica: basta dire che il computer con cui l’Apollo 11 andò sulla Luna oggi sarebbe umiliato da un telefonino da pochi euro. Ed è simbolico che a chiudere la mostra siano 14 grammi di Luna, cioè un frammento di meteorite lunare caduto in Libia.
«Ma l’avventura non è finita — dice Pizzimenti —. Intanto la nostra era è quella della Stazione Spaziale Internazionale, una delle cose più belle fatte dall’umanità, che ha unito tanti Paesi. Ma presto il Programma Orion darà una svolta gettando le basi per i viaggi su Marte».