Niente vigili né uffici Un giorno a Mappano il Comune che non c’è
Torino, diviso fra 4 municipi. La lotta per l’autonomia «I paesi vicini dovrebbero aiutarci, ma ci boicottano»
L’ufficio del sindaco non si trova. Come il municipio, come il Comune. Non c’è un cartello, fuori e dentro. All’anagrafe, allo stato civile e al protocollo non c’è nessuno, né impiegati né utenti. Qualche anima persa nei corridoi del palazzo del Consorzio racconta delle sporadiche apparizioni di un segretario «a scavalco» che presta servizio dieci ore alla settimana in straordinario per tappare un posto vacante, su ordine del Prefetto.
Il paese è tagliato in due dalla strada provinciale 267 che porta a Cuorgnè e Leini, ma non ha un vigile. Non c’è neppure un commissariato o una caserma. Non c’è nessuno che possa notificare le poche ordinanze deliberate finora dalla giunta. Mappano è un Comune che non c’è. Eppure esiste, una lunga battaglia anche burocratica ha stabilito così. Alla fine spunta almeno il sindaco, che si chiama Francesco Grassi. «Nessun dipendente è il prezzo dell’indipendenza. Ci siamo battuti a lungo per conquistare quello che riteniamo un nostro diritto. Ma ora è anche peggio di prima, colpa della poca disponibilità dei Comuni dai quali ci siamo separati».
Siamo a due passi da Torino e dentro una vicenda che nei giorni scorsi l’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, ha definito «senza precedenti», anche perché in completa controtendenza con un momento storico dove anche per ragioni economiche in Italia si cercano le unioni tra paesi vicini e non le divisioni. A ognuno la sua Brexit o la sua Catalogna. Parlando con i protagonisti di questa storia piccola, sono i termini di paragone più evocati. Agli inizi dell’Ottocento il villaggio di Mappano contava 500 abitanti e 20 cascine, ma negli anni Cinquanta e Sessanta del nuovo secolo lo sviluppo della città metropolitana di Torino lo fece crescere fino a raggiungere le 8.000 unità, senza mai perdere lo statuto di frazione, con il territorio sparso tra Caselle, Borgaro Torinese, Settimo Torinese, Leini, con i quali formava un consorzio.
Grassi ha insegnato all’Istituto comprensivo di Mappano, che si trovava sotto l’egida di due diversi Comuni, moltiplicando ogni atto, ogni comunicazione. «Disagi e malintesi di ogni genere, senza mai avere pari dignità». L’ex frazione sorge nel punto più denso della cintura industriale torinese e si trova a pochi chilometri dalla discarica di Basse di Stura, la più grande del Piemonte. «Non potevamo disporre della nostra salute, perché gli altri erano i grandi, e noi il vaso di coccio». Il primo referendum consultivo, frutto dell’iniziativa di legge popolare studiata da Grassi, fondatore del movimento autonomista, viene convocato il 15 novembre del 2009. Leini, Borgaro e Settimo fanno ricorso al Tar, che annulla. Quasi tremila cittadini protestano con una fiaccolata. Dopo tre anni, tonnellate di carta e una sentenza della Corte costituzionale, l’11 novembre 2012 si tiene il referendum. Ci vorranno altri quattro anni, due nuovi passaggi al Tar, un Commissario prefettizio, ma nel giugno di quest’anno Mappano celebra le sue prime elezioni.
La fine è sempre l’inizio di un’altra storia. Quella che comincia nell’ex frazione è fatta di stenti e umiliazioni. La Consulta infatti ha stabilito che la nascita del nuovo Comune doveva avvenire a costo zero, attraverso cessioni di personale e risorse da parte degli altri paesi. «Fanno orecchie da mercante» sospira Grassi. «Dicono di essere sotto organico. È il loro modo di proseguire con altri mezzi la guerra che ci hanno fatto finora». Claudio Gambino, primo cittadino di Borgaro, ride. «Hanno voluto le elezioni per nascere e adesso si ritrovano con una morte bianca. Paralisi totale. Non posso certo dire che mi dispiace. Quando marito e moglie si separano, la qualità della vita diventa più bassa. Adesso tutti tifano per la Catalogna, ma qualcuno pensa al costo economico della secessione?».
Quello della guerra di indipendenza a bassa intensità e alto tasso di carte bollate nella cintura torinese è stato calcolato dall’università del capoluogo. Senza Imu su fabbriche e capannoni, seconde case e box più tasse varie, Borgaro torinese ci perde 600.000 euro, cifra che giustifica la scarsa simpatia del suo sindaco verso la causa indipendentista. Leini rinuncia a 200.000 euro di entrate, mentre Caselle e Settimo se la cavano con poco. Al conto totale vanno aggiunti i trecentomila euro giudicati necessari alla nascita di un vero Comune, non il simulacro di oggi, sul quale pende ancora un ultimo ricorso al Tar.
Il nuovo arrivato è nel limbo, i paesi confinanti masticano amaro e vendetta. «Ne valeva la pena?» chiede Gambino. «Assolutamente sì» è la replica. Il torto e la ragione non risiedono da una sola parte, come spesso accade nelle separazioni. Il sindaco di Borgaro fa il bancario di professione, si tiene ai numeri e rimpiange l’addio alle 400 aziende con sede nella ex frazione. Grassi ne fa una questione storica ed amministrativa, in via ufficiale. Il decennio trascorso a studiare ricorsi, cavilli e codicilli gli è stato utile per vincere il concorso da preside in un istituto di Torino. Almeno a qualcosa è servita, la disfida di Mappano.
Il sindaco «rivale» «Hanno voluto separarsi? Dopo un divorzio la qualità della vita diventa più bassa»