Giuseppe Sessa
Direttore Clinica ortopedica Università di Catania; presidente Società italiana di ortopedia e traumatologia uando si parla di frattura del piede di solito ci si riferisce a un solo osso di quelli lo compongono, anche se talvolta possono essere coinvolte più parti, soprattutto in seguito a gravi incidenti o traumi che comportano uno schiacciamento.
Sono comuni le fratture del piede?
«Fratture nelle circa 26 ossa che compongono il piede sono abbastanza frequenti: l’uomo si è evoluto per il controllo fine delle estremità superiori, meno per quelle inferiori, quindi siamo più soggetti a urtare uno spigolo con un piede, piuttosto che con una mano. Tutte le ossa possono essere interessate, in relazione al meccanismo traumatico. La frattura più comune è quella della falange prossimale del quinto dito (“mignolo”), seguita da quelle delle altre dita e di quelle dei metatarsi. Sono invece poco frequenti quelle del calcagno, rare le fratture astragaliche e quelle delle altre singole ossa» spiega Giuseppe Sessa, direttore della Clinica ortopedica dell’Università di Catania e presidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot).
Quali sono i sintomi?
«I sintomi sono quelli classici delle fratture. Il primo, nelle persone sane, è sicuramente il dolore. Ho specificato “sane”, perché le fratture del piede sono un’evenienza non rara nei diabetici, che spesso hanno un danno nervoso che, purtroppo, gli impedisce di sentire dolore. Ciò può portarli a trascurare alcune fratture che, a lungo andare, possono portare a un sovvertimento completo del piede, esponendo anche al rischio di amputazione. Altri sintomi tipici delle fratture sono il gonfiore, l’arrossamento dell’area interessata, la comparsa di un livido, l’incapacità a usare il piede e la deformità del profilo anatomico quando la frattura è scomposta».
Che cosa bisogna fare se si sospetta una frattura al piede?
«In prima battuta bisogna recarsi dal medico, meglio se ortopedico, per essere visitati. Sarà poi lo specialista a prescrivere un’eventuale radiografia, l’esame di primo livello per ottenere la conferma diagnostica. In alcuni casi possono rendersi necessari esami di approfondimento come la Tac oppure la risonanza magnetica».
Come si curano queste fratture?
«Ogni frattura è una storia a sé. Sebbene esistano linee guida per il trattamento chirurgico o conservativo delle fratture in base alle loro caratteristiche, non bisogna mai dimenticare che i trattamenti vanno personalizzati. Tutto si può operare, ma non tutto va operato. Sottoporsi a un intervento chirurgico per un minimo deficit estetico senza risvolti funzionali, magari in soggetti avanti con l’età o con altre problematiche che possano pregiudicare il risultato (diabete, fumo di sigarette, ecc.) è un rischio inutile, e uno spreco di risorse».
Quando è necessario operare?
« Se la frattura compromette o rischia di compromettere la funzionalità del piede, allora va eseguito un intervento chirurgico mirato. In diversi casi, comunque, è sufficiente un trattamento conservativo. Per le fratture delle falangi delle dita, ad esempio, spesso si opta per il semplice fissaggio con un nastro del dito lesionato a quello di fianco. A volte anche in presenza di frattura di un osso portante, per esempio il calcagno, può essere sufficiente un trattamento incruento con un apparecchio gessato, a condizione che la frattura non sia scomposta e non comprometta quindi la funzione portante che tale osso esplica nel piede».